Björn
Larsson, L’ultima avventura del pirata Long John Silver, Iperborea, Milano,
2013, pagg. 72
Anno di prima pubblicazione: 2013
Traduzione di Katia De Marco
Voto: 7,5
Da quel che
si capisce leggendo il colophon del libro, l’edizione italiana – Iperborea,
come quasi sempre accade per i testi scandinavi – di L’ultima avventura del pirata Long John Silver addirittura precede
(se mai ci sarà) quella svedese in lingua originale. Se è così, già da questo
si capisce l’anomalia di questo libello esilissimo, una settantina di pagine
che si legge in un’ora o poco più. Si fa fatica a parlare non solo di romanzo,
ma anche di racconto: l’unità aristotelica di spazio e tempo in una scena la
cui azione è affidata più che altro al dialogo ricorda tutt’al più un atto
unico teatrale. Intendiamoci: La vera storia del pirata Long John Silver, di cui si è già parlato in queste
pagine, è qualcosa di molto vicino ai confini del capolavoro. L’ultima avventura del pirata Long John
Silver è invece una sorta di smilzo sequel, forse sarebbe meglio definirlo –
come si fa in musica – come una out-take, una sorta di scarto di lavorazione
del romanzo originale nel quale – più per difficoltà di inserimento nella trama
che per valore artistico – non era riuscito a trovare spazio.
Insomma,
dopo oltre quindici anni, eccoci niente di più che una piccola appendice sagace
di La vera storia del pirata Long John Silver,
che a sua volta era il seguito “apocrifo” di L’isola del tesoro di Stevenson. Il clima del racconto è quindi
sempre quello: leggere L’ultima avventura
senza aver letto prima La vera storia
non darà assolutamente alcuna soddisfazione. Chi ha già letto La vera storia, invece, non sarà deluso
da L’ultima avventura, nonostante le
dimensioni ridottissime di questo testo. Il pirata Long John Silver, ormai in “pensione”
e sempre più salgariano, si imbatte suo malgrado in un affarista inglese dedito
al commercio di schiavi. E decide di dargli una bella lezione... È poco più che
un raccontino, ma è divertente e scritto benissimo.
A scuola
avevamo un cervellone che non faceva altro che scribacchiare. Avrebbe scritto
dei capolavori, diceva, come Milton e Shakespeare, sai, la solita storia. E
vuoi sapere che fine ha fatto? Si è dimenticato di vivere ed è morto di febbre
cerebrale.
(pagg. 65-6)
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