Carmen Consoli, Stato di necessità (2000)
Tracklist:
1. Bambina impertinente – 2. Stato di necessità – 3. Parole di burro – 4.
Novembre ’99 (L’isola del tesoro) – 5. In bianco e nero – 6. L’ultimo bacio –
7. Il sultano (della Kianca) – 8. Amado señor – 9. L’epilogo – 10. Orfeo – 11.
Equilibrio precario – 11. Non volermi male
Voto:
9
Appena
inserito il cd nel lettore, ci accorgiamo che Stato di necessità è un album che dura 69 minuti tondi tondi. Non è
una bizzarra coincidenza: l’ultima traccia contiene un lungo periodo di
silenzio (con ghost-track...) inserito ad arte per allungare il minutaggio finale fino al
raggiungimento di questa durata. E non è una cosa fatta senza malizia – non serve
spiegare perché. Già prima di iniziare il primo ascolto di questo album, l’ascoltatore
è quindi in grado di capire almeno una delle tematiche più importanti di questo
lavoro, ossia una conturbante allusione erotica che ne forgia più di una
canzone. Poi parte la prima traccia, Bambina
impertinente, un magnifico elettro-rock dall’arrangiamento scarno ma
potente (senza batteria), il cui ritornello è graffiato dall’incalzante “Trattami
come se fossi una dea” e le strofe scivolano via sinuose e sensuali (“Non ho padronanza del termine esatto ma
godo al contatto [...] mi piace scherzare sembrando indecente, parlarti all’orecchio
dicendoti niente”) ed il gioco si fa ancora più scoperto.
Correva
l’anno 2000 e Carmen Consoli era all’apice della forma, dando alle stampe forse
il suo album più riuscito di sempre. La forte sensualità di cui si è appena
parlato è un inno all’emancipazione, e fors’anche ad una piccola trasgressione,
ma non all’indecenza né ad una disinvoltura “felina” dei costumi sessuali: in
modo assai riuscito, Carmen Consoli riesce a descrivere il desiderio di libertà
erotica che non bada ai laccioli ipocriti e condizionanti della società e del
giudizio degli altri, ma al contempo anche l’insicurezza, o forse proprio la
paura, a lasciarsi andare a un impulso carnale che d’altra parte non vuole mai
sottrarsi al regno del sentimento. È un vero e proprio Stato di necessità, come espresso nell’azzeccata title track (“Saltami addosso dottore coraggio”), un’indagine a tutto tondo nel
campo delle relazioni interpersonali, tra il desiderio di darsi e la paura dell’altro.
In
questo affresco, i capitoli più dichiaratamente passionali ed espliciti
(citiamo anche l’ottima Il sultano
(della Kianca), con una potente intro di chitarra) non escludono gli
episodi più dolci e struggenti. Tra questi, innanzitutto, i singoli che resero
un successo quest’album, l’ardente L’ultimo
bacio, Parole di burro (una
riflessione sul rapporto forse più difficile che c’è, quello con noi stessi),
la “mitologica” Orfeo (col bisogno
di Euridice di tornare alla vita e di affidarsi a colui che la trarrà in
salvo... nella speranza che stavolta finisca meglio!) e pure In bianco e nero, una riflessione
ancora sentimentale ma non più riferita al solito rapporto donna:uomo, ma al
rapporto figlia:madre, con la prima che dopo anni si rispecchia nella seconda e
quasi si scusa di non essere sempre stata in grado di avere con lei un rapporto
apertissimo (“temendo una sciocca
rivalità”).
Al
di fuori dai grandi singoli, però, emergono altre perle da ricordare. Novembre ’99 (L’isola del tesoro), dal
doppio titolo enigmatico e all’apparenza irrelato col testo, racconta il “freddo”
che si ha nel cuore nei momenti in cui non si riesce a stabilire una relazione
serena con l’Altro (“so già che per un
momento sarà pieno inverno”); L’epilogo
racconta con impotente nostalgia la fine di una storia che volge alla fine (“le solite foto sul frigo e il pensiero di
essere altrove”) ma il vero epilogo dell’album, ma anche del percorso
esistenziale tracciato dall’artista catanese in questo lavoro, è la meravigliosa
Non volermi male, una “piano ballad”,
tormentata ma con una luce in fondo, che descrive quell’inafferrabile attimo in
cui tutto finisce ma in cui allo stesso tempo c’è già il barlume di qualcosa di
nuovo che comincia: tra le rovine di ciò che è stato, si staglia nella sua
gnomica semplicità la certezza che “certe
volte l’importante è sentirsi più belli, quanto basta per sentire che il mondo
è vicino, e non è perfetto”. “Smascherare” gli altri nella loro fragilità
non è un modo per guardarli dall’alto al basso, ma per sentirsi come loro.
Forse
il migliore album di Carmen Consoli, dicevamo. Questo vale anche dal punto di
vista musicale. L’ottima cantante catanese vive di almeno due anime molto
distanti tra di loro, una dedita al rock, più presente nei primi lavori (Mediamente isterica su tutti), una
rivolta a sonorità leggiadre e tendenzialmente acustiche, che ha fatto capolino
più volte negli ultimi anni. Stato di
necessità costruisce una mirabile sintesi tra queste due componenti,
spaziando da “mura di chitarre distorte” e arrangiamenti “hard” a brani
acustici e accompagnamenti di violini. Il tutto a creare un amalgama perfetto,
ottimamente sostenuto da un songwriting riuscito e una produzione impeccabile.
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