Flann O’Brien,
Una pinta d’inchiostro irlandese, Bompiani, Milano, 2001, pagg. 292
Titolo originale: At
Swim-Two-Birds
Anno di prima pubblicazione: 1939
Traduzione di J. Rodolfo Wilcock
Voto: 9,5
Come spesso
ci capita su questo blog, abbandoniamo i sentieri della letteratura più famosa
e inerpichiamoci lungo la via che ci porta ad uno scrittore poco noto, ma non
per questo sconosciuto, specialmente tra gli “addetti ai lavori”, e,
soprattutto, non per questo poco interessante, anzi. Sto parlando dell’irlandese
Flann O’Brien (nome d’arte di Brian O’Nolan). Nel 1939, a soli 29 anni, in una
terra che ha dato i natali a tantissimo scrittori di livello mondiale (da Joyce
in giù), O’Brien si toglie lo sfizio di inventarsi un romanzo che in realtà non
è solo un romanzo, ma una sorta di scatola di sogni, uno specchio magico dove
il romanzo si fa teoria (e pratica) del romanzo (e della letteratura) assumendo
però le vesti di un eclettismo spassoso e geniale: Una pinta d’inchiostro irlandese.
Se non avete
ancora letto questo libro, forse ne avrete sentito parlare perché – un po’ come
La zia Julia e lo scribacchino di Vargas Llosa – è spesso citato come
ispiratore del Calvino di Se una notte di inverno un viaggiatore. L’accostamento,
in effetti, è senz’altro corretto. Tuttavia va aggiunto che, al confronto di O’Brien,
Calvino è ordinato e organico, quasi schematico nella sua struttura di racconto
tutto sommato ben definita. O’Brien invece si lascia andare: racconta di un io
narrante che scrive un romanzo in cui ci sono varie vicende che si intrecciano,
e questo succede soprattutto perché tra i personaggi c’è pure uno scrittore,
Trellis, che, nella sua opera, crea gli altri personaggi. Lo spunto geniale di
partenza sta qua: il romanzo non solo vive su più livelli, ma oltretutto i
livelli non sono separati, anzi si uniscono, per cui i personaggi creati da
Trellis vivono sul suo stesso piano di realtà e, lamentandosi per la vita che
il loro Autore li costringe a fare, si vendicano scrivendo a loro un romanzo il
cui protagonista è lo stesso Trellis al quale, ça va sans dire, non fanno fare
una bella fine...
Si culmina
in un processo finale in cui i personaggi condannano il loro Autore: eccoci di
fronte a un simbolo chiave di un testo dove grossi problemi metaletterari, come
il rapporto tra letteratura e realtà e quello tra autore e personaggi, e molti
altri, sono affrontati con una disinvoltura e una leggerezza irresistibili. Il
divertimento si propaga di volta in volta come in uno spettacolo pirotecnico.
Si tratta alla fine di un omaggio, parodico quanto vivo, alla letteratura in
generale, in cui la commistione di generi è all’ordine del giorno, con “cortocircuiti”
– come l’incontro tra il bardo gaelico e il poeta operaio – che garantiscono
grandi risate. Questo di O’Brien è un lavoro eccelso, serio ma non serioso,
anzi divertente: complicato e leggero allo stesso tempo, come i migliori
virtuosismi sanno essere. E questo romanzo a scatole è senz’altro un
virtuosismo, narrativo e linguistico.
PAUL SHANAHAN, un altro personaggio
assunto da Trellis per fargli eseguire nella vicenda diversi piccoli compiti
senza importanza, nonché portare messaggi, eccetera. Ha luogo in seguito un
lungo dialogo tra Peggy e Furriskey, sul bordo della strada, nel corso del
quale la ragazza gli spiega che i poteri di Trellis rimangono in sospeso quando
lo scrittore di addormenta, e che Finn e Shanahan si erano giovati appunto di
questo fatto, quando erano andati a trovarla, perché non oserebbero mai
sfidarlo quando è sveglio.
(pag. 81)
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