Non ci
resta che piangere (1984)
Regia:
Roberto Benigni, Massimo Troisi
Con:
Roberto Benigni, Massimo Troisi
Voto:
9,5
Se
recensire un film significa segnalarlo per farlo conoscere, un film di culto
come Non ci resta che piangere non ha
bisogno di alcuna recensione, visto che lo conoscono tutti, ed è difficile
trovare qualcuno che non l’abbia visto più volte. È bello comunque parlare del
lavoro di Benigni e Troisi per omaggiare una pellicola che dev’essere frutto di
un qualche incantesimo, di una magia particolare, visto che riesce a far ridere
a crepapelle ogniqualvolta la si guardi e riguardi, e questo senza ricorrere
mai ad espedienti volgari o caciaroni, ma solo semplicemente grazie
all’incredibile talento di due grandissimi attori comici all’opera durante un
felicissimo stato di grazia.
Di
fatto, non è semplice parlare di questo film, che è al tempo stesso complesso e
semplicissimo. Complesso non solo perché ha una robusta produzione alle spalle,
ma soprattutto perché ogni singola scena regala momenti di alta ilarità, e non
è facile – anzi – riuscire a far ridere con tanta costanza e continuità.
Semplice perché è un film che praticamente non ha una sceneggiatura, ma solo un
soggetto di massima, elaborato da Roberto Benigni e Massimo Troisi che non solo
interpretano la pellicola ma anche l’hanno scritta e diretta. Dal punto di
vista strettamente tecnico, potremmo parlare anche di un film che fa acqua da
tutte le parti, di una regia praticamente assente, di una trama che si basa su
una sola vera trovata strutturale – l’inspiegabile salto temporale che porta i
due protagonisti, un maestro elementare ed un bidello, dai giorni nostri al
1492: l’effetto di straniamento causato da questa situazione così particolare è
il primo motore che dà via alla comicità del film – e che grossomodo regge per
metà film (finché i protagonisti restano nell’improbabile paesino in cui si
ritrovano catapultati, Frittole) e che collassa totalmente nella seconda metà,
quando seguire la storia dei due personaggi – adesso partiti alla volta della
Spagna per cercare di fermare Cristoforo Colombo nonostante le insidie di
un’affascinante quanto pericolosa amazzone che cerca chissà perché di fermarli
– diventa quasi impossibile (nella versione dvd c’è un finale alternativo,
abbastanza lungo, in cui la trama ha molto più senso, ma che è stato tagliato
dal montaggio finale perché decisamente meno divertente). È per questo che la “critica
ufficiale” ha più volte inveito senza pietà nei confronti di questo film,
bollato spesso come un’occasione sprecata o addirittura come un lavoro non
riuscito. Al contrario, io ritengo che, nonostante tutto questa trasandatezza
tecnica, o magari proprio grazie ad essa (che in fin dei conti consente allo
spettatore di trascurare la storia per porre tutta la propria attenzione sui
due primi attori), Non ci resta che
piangere funzioni veramente alla grande. È opinione diffusa che Benigni e
Troisi in quel periodo fossero così in forma che avrebbero potuto fare un film
divertente anche semplicemente sedendosi su una panchina e mettendosi a parlare
insieme per un paio di ore. Probabilmente è così. Il film, sebbene non vi
manchino attori bravi che fanno la loro parte, sa di pretesto per consegnare la
scena a due comici di levatura internazionale che si scatenano in una
lunghissima serie di esilaranti assoli. L’assenza di una sceneggiatura precisa
consente loro di sbizzarrirsi in un’improvvisazione che solo i grandi possono
rendere così piacevole, divertente e scoppiettante: non c’è rivalità tra i due,
né voglia di dimostrare l’uno all’altro di essere il migliore, bensì una
complicità totale che rende perfette le loro gag. In un film che, mutatis mutandis, ha un che dell’antica
commedia dell’arte o del teatro pregoldoniano (mancano chiaramente le maschere,
ma il “fenotipo” interpretato dai due attori ha comunque caratteri molto
marcati), si susseguono scene di culto (dal mitico “Mo’ me lo segno” di Troisi
al predicatore che gli ricorda che deve morire fino alla memorabile lettera a
Savonarola, riuscitissimo omaggio a Totò e Peppino) il cui non sempre riuscito
allacciamento reciproco, specialmente nella seconda parte, non inficia come
detto la riuscita globale del lavoro, il cui scopo non è raccontare una storia
ma creare un contesto, e un proscenio, a Benigni e Troisi per dar fuoco alle
polveri della loro irresistibile vis
comica.
Era
il 1984, gli allora giovani Benigni e Troisi ebbero modo di dimostrare ancora
in futuro il loro talento, il primo addirittura facendo incetta di Oscar per La vita è bella, il secondo regalandoci
tra l’altro una perla di rara bellezza come Il
postino; come tutti sanno, però, Troisi ci ha lasciato nel 1994, a nemmeno
metà di quel che era, e sarebbe potuto essere ancora di più, un percorso
artistico sensazionale. Manca molto Troisi al cinema italiano di oggi, ma il
suo ricordo è intaccabile, e proprio film come Non ci resta che piangere, che non invecchiano mai col passare del
tempo, contribuiscono a eternarlo. Riguardarlo oggi e ridere come allora: non
c’è migliore omaggio per onorare Benigni e la memoria di Troisi, e non c’è
migliore regalo che loro potessero farci.
Roberto Benigni e Massimo Troisi in quella che forse è la più famosa scena del film, quella della lettera a Savonarola
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