Nick Hornby,
Un ragazzo, Guanda, Parma, 2011, pagg. 265
Titolo originale: About
a Boy
Anno di prima pubblicazione: 1998
Traduzione di Federica Pedrotti
Voto: 9
Will, uno
sconclusionato trentaseienne di Londra che vive di rendita, si imbatte in
Marcus, problematico dodicenne dalla madre depressa con pulsioni suicide: dopo
questo incontro, niente sarà più come prima, nel bene e nel male! Hornby, non a
caso autore di culto, ci propone un duplice romanzo di formazione (da cui è
tratto pure un film con Hugh Grant) con due figure in parallelo che a modo loro
maturano: Will e Marcus sono due personaggi che crescono affrontando i problemi
tipici della propria età ma anche altre problematiche più personali, talvolta
drammatiche, talvolta paradossalmente divertenti. Incrociando e sovrapponendo
le due vicende, Hornby struttura il romanzo in maniera veramente commendevole,
riuscendo con bravura a divertire e commuovere al tempo stesso, trovando pure
un modo spiritoso ma mai irriverente di trattare temi enormi come la
depressione, il bullismo, l’educazione, i problemi sentimentali. Hornby è “giovanilistico”
nel senso buono del termine, nel senso che parla di giovani e ai giovani (e
questo vale anche per i meno giovani rimasti giovani dentro come Will) senza
indulgere a facilonerie stucchevoli da romanzetti rosa per adolescenti
annoiati, ma piuttosto dimostrando la sensibilità necessaria per capire, e
affrontare con cognizione di causa, i temi di cui si tratta. In tal senso, è
autore “contemporaneo” non solo per il dato anagrafico (Hornby è del 1957 e il
romanzo è del ’98), ma soprattutto per le tematiche affrontate, nonché per lo
stile usato, leggero e colloquiale – molto giovanile, appunto – ma sempre
accurato e preciso. Senza giustificare né condannare, ma solo raccontando,
Hornby dipinge con pennellate leggere il mondo dei giovani e meno giovani di
oggi, sconclusionati e smarriti nel gioco della vita, ma pur sempre umani e
tutto sommato buoni. Con un grande insegnamento, enunciato da Will: non importa
avere da fare (con famiglia, lavoro o simili) per essere impegnati, perché
vivere è già di per sé molto impegnativo!
Se c’era un
inconveniente nell’esistenza che si era scelto – quella sua esistenza senza
lavoro e senza preoccupazioni, senza noie e difficoltà, senza arte né parte –,
adesso l’aveva finalmente scoperto: quando a una festa di Capodanno incontrava
una donna single interessante, colta, ambiziosa, bella, brillante, si sentiva
un povero scemo, una nullità, uno che non aveva fatto niente nella vita se non
guardare Countdown e andare in giro in macchina ascoltando i
Nirvana. E questo giocava a suo sfavore. Se ti innamoravi di una donna bella e
intelligente e tutto il resto, sentirsi come un povero scemo ti metteva un po’
in una situazione di svantaggio.
(pagg. 168-9)
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