Antonio
Skármeta, Match ball, Garzanti, Milano, 1994, pagg. 191
Titolo originale: Match
ball
Anno di prima pubblicazione: 1989
Traduzione di Glauco Felici
Voto: 7,5
Abbiamo
parlato la scorsa settimana a proposito di IntoThe Wild – ma è un tema che ricorre spesso in questo blog, ed un titolo che
mi piace ricordare a tal proposito è quello del film Ti va di pagare? – di quello che succede quando ci si trova a fare
i conti con una vita con la quale, troppo piegata com’è alle convenzioni
sociali, l’io non si riconosce più. Ne parliamo anche a proposito di questo
poco noto romanzo del cileno Antonio Skármeta – noto più che altro in quanto
autore di Il postino di Neruda, il
romanzo da cui è tratto Il postino, l’ultimo
(bel) film di Troisi – ribaltando però l’ottica “etica” con cui il tema è
affrontato. Mi spiego: spesso la rottura dalle convenzioni è un gesto “nobile”
che l’eroe protagonista fa per rimpossessarsi giustamente della propria
esistenza rompendone le catene sovrastrutturali che il vivere in società le ha
imposto. Il dottor Papst, protagonista di Match
ball, invece non fa niente di nobile. Per un signore come lui, un medico
dalla carriera ben avviata e soprattutto un uomo con 52 anni sulla carta d’identità,
innamorarsi di una tennista di nemmeno sedici anni non è certo un’idea
brillante, una trovata da ammirare, una ribellione esemplare. È tutt’altro: è
un atto che va contro la legge, contro la morale e più semplicemente contro il
buon senso. Ed è un gesto che, chiaramente, si fa pagare per un prezzo molto
alto…!
Ambientato
tra Berlino, Roland Garos e Wimbledon, Match
ball non è un capolavoro, è comunque un rocambolesco romanzo di
s-formazione che gira molto bene grazie al ritmo impostogli dalla trama ma
soprattutto dalla facilità di racconto del suo Autore, che, con prosa fluente e
rigorosa, aggettivazioni poderose e citazioni intellettualistiche (anche se
talvolta si concede troppo al “rimuginio”), si rivela romanziere di lungo corso
in grado di narrare con brio e ironia – tanto che alla fine il ricordo che
lascia la lettura di questo romanzo è quasi quello di una commedia – una vicenda
così scabrosa che nelle mani di altre autori avrebbe potuto assumere contorni
ben più inquietanti (e seriosi). Sospeso tra Lolita e il feuilleton latino-americano del genere deriso da Vargas
Llosa nel suo La zia Julia e lo scribacchino, Match ball non
intende in nessun momento giustificare il discutibile operato del protagonista,
un farfallone fuori tempo massimo alle prese con una vicenda quasi da
pedofilia. Insiste comunque sul solito tema dell’alienazione del mondo moderno,
che non dà luogo soltanto a magnifici gesti alfieriani di grande nobiltà di
spirito, ma anche a bassezze da sottoscala come improbabili liasion tra lolite
cresciute troppo in fretta e signori più che adulti con troppa nostalgia del
tempo che fu. Non c’è niente da fare: più ci si comprime e ci si limita all’interno
delle regole imposteci dalla società, più per reazione si rischia di esplodere
e di lasciare liberi istinti primordiali non sempre commendevoli. Insomma,
lettura poco impegnativa ma non del tutto insignificante: Match ball si legge velocemente non senza ricavarne qualche
sorriso.
Diana mi ha
porto un flacone marrone e mi ha indicato con un gesto di leggere del mento di
leggere l’etichetta. Era un potente sonnifero.
«Stanotte ho
dovuto darne a mia figlia perché la poverina potesse addormentarsi. Era
irascibile, disperata, come impazzita».
«Mio Dio!
Perché non mi ha chiamato?»
Abbiamo
applaudito insieme il game.
«È proprio
qui il problema, dottore. Perché ieri notte il rimedio sarebbe stato peggiore
del male».
«Non capisco».
«Ho l’impressione
che Sophie sia innamorata di lei, dootore».
«Mi
piacerebbe godermi questa finale senza sentire spropositi, contessa von Mass».
«Innamorata
e non platonicamente, se capisce quel che voglio dire».
«Per fortuna
no, madame». […]
Ho fatto il
gesto di alzarmi, ma lei mi ha rimesso a sedere con vigore virile sulla
panchina.
«Lei lo sa
che se va via Sophie perde».
«Allora, che
cosa vuole che faccia?».
«Rimanga con
noi fino almeno fino a Londra. Ma l’avverto che se ci si mette insieme, le
strappo gli occhi e li do da mangiare ai maiali».
«In questo
caso le chiedo che con i soldi del premio mi compri un cane che mi faccia da
guida».
«Cane e
bastone bianco, dottore!».
(pagg. 102-3)
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