Erlend Loe, Doppler
– Vita con l’alce, Iperborea, Milano, 2007, pagg. 187
Titolo originale: Doppler
Anno di prima pubblicazione: 2004
Traduzione di Cristina Falcinella
Voto: 9
Notissimo in
patria, ma ormai abbastanza conosciuto anche all’estero, il talentuoso Erlend
Loe (nato a Trondheim nel 1969, autore anche per il cinema di cui si è già
parlato per Nord) deve la fama
soprattutto al folgorante Naif.Super
(uscito in patria nel 1996, molto carino, anche se io preferisco Doppler, pubblicato per la prima volta
nel 2004) ed è un autore norvegese al tempo stesso tipico e innovativo. Tipico
perché il tema della fuga alla Hamsun – che è appunto un padre della
letteratura norvegese, seppur controverso in virtù della sua adesione al
nazismo (Processo a Hamsun di Per Olov Enquist è un testo molto interessante a
tal proposito) – è molto battuto dagli autori del grande nord; innovativo
perché tratta la materia con un’ironia non del tutto consueta tra gli autori
suoi connazionali (si pensi a Johan Harstad di cui si è parlato in Che ne è stato di te, Buzz Aldrin?,
romanzo bellissimo ma di certo non esilarante).
Doppler insomma di questo parla, di una
fuga hamsuniana dalla società. E non è previsto, come accade spesso, un ritorno
alla società al termine della fuga, anzi si tratta sol di un primo passo di una
sorta di discreto “piano di sabotaggio” che l’Autore porta avanti in una
trilogia di cui il secondo episodio (Volvo)
è già stato pubblicato anche in Italia (sempre da Iperborea, che ci si augura
dia presto alle stampe anche il terzo atto). Dopo aver battuto la testa cadendo
dalla bicicletta, Andreas Doppler matura la convinzione di dover ritirarsi in
una tenda in un bosco vicino ad Oslo: lui è sempre stato uno “bravo”, ma essere
bravo impone una vita cesellata nelle maglie di una società non certo del tutto
sana. Lo scatto di libertà di Doppler – e di Loe – sta nell’intuizione che –
almeno in un mondo rigido come quello norvegese – perdere la testa è il primo
passo verso la sanità mentale o comunque verso la salvezza dalle costrizioni
delle convenzioni. Non siamo lontanissimi dal Cameron di Un giorno questo dolore ti sarà utile, ma cambia il contesto: la
Norvegia è la nazione della civiltà, dello stato sociale, del benessere, qual è
allora il problema? Il problema è paradossalmente proprio quel benessere che fa
dei norvegesi – parola dell’Autore – il popolo più simpatico ed egoista del
mondo. E la carta vincente di Loe sta nel suo anticonformismo paradossale, un
ribaltamento carnascialesco che tramite un intransigente buon senso smaschera
impietosamente tutte le bizzarre consuetudini del vivere civile. Coerente e
serrata – anche se senza quel flusso di coscienza che l’Autore aveva adoperato
a grandi mani in Tutto sulla Finlandia,
il suo lavoro del 2001 – la narrazione di Loe procede con un’ironia impietosa
ma esilarante che rende leggeri anche i passi del libro che affrontano temi non
banali né semplici. Si costruisce una vicenda di umanità “ai margini” – che sia
un auto-esilio o un’esclusione forzata fa poca differenza – che si arricchisce
di una galleria di personaggi stravaganti alla Paasilinna che rende il racconto
estremamente gustoso.
Certo, a
ognuno i propri problemi. In Italia molti di noi pagherebbero per avere i
problemi da “iper-civilizzazione” che hanno i norvegesi (visto che noi spesso
soffriamo di “ipo-civilizzazione”, è chiaro che tra i due estremi è meglio
quello della Norvegia), ma ad ogni modo – e fatti anche drammatici come la
strage di Behring Breivik possono confermarlo – anche una vita estremamente
inquadrata rischia di diventare una sorta di bomba ad orologeria pronta ad
esplodere nella mente di chi la vive. Doppler arriva proprio a quel punto, alla
totale assenza di stimoli che rende inutile anche la ricchezza e il benessere,
e opta per una soluzione “non-violenta” di riscoperta della vita e di
costruzione di un mondo nuovo in cui recuperare se stesso e la propria umanità.
E si sceglie la compagnia giusta per farlo: il figlio di quattro anni – Gregus,
cui vuole insegnare a NON leggere – e un mansueto cucciolo d’alce. Le
rivoluzioni si fanno anche con la tenerezza.
Prima della
caduta nel bosco passavo le mie serate in famiglia. Ho sempre aborrito le
attività organizzate per il tempo libero. Quindi quasi tutte le sere le passavo
in casa. Mangiavamo, guardavamo i programmi per bambini, mettevamo Gregus a
nanna e poi ci piazzavamo davanti alla tele sfogliando riviste più o meno
stimolanti finché la pendola non ci avvisava che era ora di pagare le fatture
su internet. Le fatture non mancavano mai. L’elettricità e le tasse comunali,
il telefono, gli abbonamenti ai giornali, l’idraulico e l’asilo, oltre al
Tennis Club Nordberg che ci consegnava regolarmente sessantaquattro rotoli di
carta igienica direttamente alla porta di casa. Ci piaceva. Quei vecchietti
lassù che si tengono attivi con l’organizzazione del Tennis Club. Quando non
sono occupati dalla manutenzione o dall’uso diretto del campo, se ne vanno in
giro per il vicinato a distribuire rotoli di carta igienica. È una specie di
professione per loro. Così si sentono vivi e a noi arriva la carta con cui
possiamo pulirci al gabinetto. Ma oggi mi rendo conto, non senza un diabolico
sorriso, di aver pagato la mia ultima fattura. Mai e poi mai ne pagherò un’altra.
Né via internet, né in nessun altro modo. Vivrò di baratti e di furti e del
bosco. E quando non ci sarò più, sarà il bosco a vivere di me. Questo è il
patto.
(pag. 82)
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