Salvate
il soldato Ryan (1998)
Titolo originale: Saving
Private Ryan
Regia: Steven Spielberg
Con: Tom Hanks, Edward Burns, Tom Sizemore, Matt Damon
5 Premi Oscar 1999 (Migliore regia – Steven Spielberg; Miglior
fotografia – Janusz Kaminski; Miglior montaggio – Michael Kahn; Miglior sonoro
– Gary Rydstrom, Gary Summers, Andy Nelson, Ron Judkins; Miglior montaggio
sonoro – Gary Rydstrom, Richard Hymns), 2 Golden Globe 1999 (Miglior film
drammatico; Migliore regia – Steven Spielberg)
Voto:
8,5
Esiste
un’estetica della guerra, ed è quella – cui attingono a piene mani i molti film
bellici prodotti nella storia del cinema, ma anche romanzi, dipinti e altri
modi di espressione, tra cui pure forme “minori” di visual-art come i videogiochi – della rappresentazione più o meno
fedele del campo di battaglia nella prima persona dei combattenti che lì si
giocano non solo la propria esistenza ma anche il destino della nazione per la
quale guerreggiano. Il pluripremiato Salvate
il soldato Ryan è in tal senso, non solo negli sconvolgenti 25 minuti
dedicati allo sbarco in Normandia, molto interessante e coinvolgente. La sua
trama non è poi di grandissimo spessore: dato che gli sono morti i tre fratelli
in battaglia, si decide di salvare l’ultimo Ryan in vita affidando ad un gruppo
di soldati la specifica missione di andare a prenderlo e rispedirlo a casa; soltanto
che il soldato Ryan è stato catapultato prima dello sbarco in Normandia oltre
le linee tedesche, ed andarlo a recuperare in territorio non ancora liberato
non sarà un’impresa semplice. Da questo semplice spunto – basato su una realtà
storica alterata a fini narrativi (il “Sole Survivor Policy”, la legge che “salvava”
i soldati che avevano perso più fratelli esisteva davvero, però non si facevano
missioni apposite per andare a ripescarli, visto che sarebbe stato poco
conveniente rischiare una decina di uomini per salvarne uno solo) – il film
trova in verità il suo vero motivo di essere sugli episodi, avvincenti e
toccanti, vissuti dal gruppo di soldati, nonché sull’impeccabile messa in scena
degli eventi. Anche se sono certo che Spielberg si sia avvalso di grandi
specialisti per una ricostruzione il più fedele possibile alla realtà storica, per
quel che ne so (non ho le competenze adeguate per dirlo) è possibile (anche se
improbabile) che nel mastodontico allestimento scenico qualche strafalcione
anacronistico ci sia, come qualche caschetto che i militari in realtà non
indossavano o qualche arma che in verità è stata costruita solo dopo la fine
della guerra. Se anche così fosse, pazienza: l’estetica della guerra di cui
parlavo in precedenza sta soprattutto nel far vivere da un punto di vista
interno, visceralmente interno, la violenza della guerra, farla sentire mentre
brucia a piena forza sulla pelle dei personaggi e, di riflesso, degli
spettatori.
Certamente,
vivere in soggettiva un evento così drammatico – e ahimè realmente accaduto –
non è solo estetica della guerra, ma anche etica della guerra. L’etica che,
diventando retorica, si fa epos dei combattenti americani chiamati al
sacrificio estremo per il bene dell’umanità – fermo restando che se c’è stato
un intervento militare nella storia che realmente, e non solo per propaganda, è
stato fatto per salvare il mondo dalla tirannia, questo è stato proprio quello
americano nella Seconda Guerra Mondiale, in particolare, ma non solo, proprio
nel pericolosissimo sbarco in Normandia – a me interessa poco, ma riconosco che
sia un passaggio inevitabile in questo genere di film (e Spielberg poi non ha
certo gli slanci antimilitaristi che dànno spessore ad altre pellicole, penso
ad esempio a Full Metal Jacket di
Kubrick). L’etica della guerra per come la intendo io è piuttosto quella che si
prende il compito di porre l’accento sul fatto che ogni singolo soldato che ha
combattuto, ogni singolo civile che è stato coinvolto dalle battaglie, ogni
essere umano che insomma si è trovato lì in mezzo, tutti sono portatori di un
racconto, di una storia, di una vita, su cui la guerra si è indelebilmente
abbattuta. Chi è tornato a casa, ha portato nell’anima le cicatrice della
violenza che ha vissuto. Chi è caduto in battaglia, ha visto recidere
un’esistenza che sarebbe potuta – dovuta – diventare una vita, una famiglia,
una storia da raccontare alle generazioni a venire. È questa la vera tragedia
della guerra: la morte come se nulla fosse. Ecco a mio parere il vero interesse
di un film come questo: trascendere il valore storico degli episodi raccontati
e calarli nella loro dimensione più intima e autentica di una tragedia umana.
Una tragedia umana che sarebbe l’ora di non replicare mai più.
Tom Hanks in una delle fortissime scene in cui il film racconta lo sbarco in Normandia
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