La
terrazza sul lago (2008)
Titolo
originale: Lakeview Terrace
Regia: Neil LaBute
Con: Samuel Jackson, Patrick Wilson, Kerry
Washington
Voto:
7
Il
titolo originale di questo film, Lakeview
Terrace, fa riferimento
all’omonimo distretto suburbano di Los Angeles – la traduzione italiana, La terrazza sul lago, sembra fatta con Google
Translator da quanto è totalmente sballata e fuori luogo. A Lakeview nel 1991
avvenne il celebre linciaggio ai danni del ragazzo di colore Rodney King –
scomparso proprio in questi giorni, lo scorso 18 giugno – per mano di un gruppo
di poliziotti, a seguito del quale Los Angeles fu sconvolta da violenti scontri
tra bianchi e afroamericani, scontri che sono rimasti a lungo una dolorosa
cicatrice nella memoria degli abitanti dell’intera California. Insomma,
intitolare un film Lakeview Terrace non
può che esplicitare l’intenzione degli autori di richiamare alla memoria quel
triste episodio. E infatti anche di razzismo si parla in questa pellicola: una
coppia mista (bianco lui, nera lei) si trasferisce a Lakeview, ma il vicino di
casa, Abel Turner, un poliziotto nero interpretato da un superlativo Samuel Jackson, non gradisce i due nuovi dirimpettai e decide di sbarazzarsene. La
costruzione pacata del film, dal ritmo non tirato via, consente al regista di
tracciare piuttosto bene i personaggi, mentre, in un climax inesorabile, il
poliziotto altero si “dedica” ai due vicini cominciando con piccoli “dispetti”
e finendo con l’imbracciare una pistola. Ecco insomma, dopo quelli che
pestarono King, un altro poliziotto razzista a Lakeview, ma a scompigliare le
carte in tavola è il fatto che sia egli stesso un uomo afroamericano («Puoi
ascoltare rap tutta la notte», dice ad un certo punto al nuovo vicino bianco,
«ma non sarai mai un nero!») La rappresentazione spiazzante di un razzista nero
non credo significhi un maldestro tentativo di assoluzione ex-post dei razzisti bianchi protagonisti del tremendo episodio di
Lakeview (né di tutti gli altri), ma penso al contrario che sia un invito alla
riflessione, alla rottura degli schemi, al rifiuto degli schemi manichei di
buoni e cattivi che semplificano e distorcono una realtà ben più complessa,
dove il razzismo sa annidarsi anche laddove sembrerebbe più difficile da
rinvenire (ed in effetti, ahimè, i razzisti si trovano un po’ dovunque, non
solo presso i gruppi “dominanti”). Il film trova ragione di esistere quindi non
tanto nei temi proposti quanto nell’allestimento anomalo con cui vengono
assemblati. Nella tormentata mente di Abel Turner non c’è allora solo il
razzismo, vi si stratifica anche un vaniloquio di onnipotenza che trasforma la
sua professionalità poliziesca in un’ossessione di controllo assoluto, che
coinvolge anche la sua stessa vita familiare. Alla complessità del personaggio,
fanno da contraltare le normali vicende domestiche della coppia di giovani
sposi, la cui quotidianità quasi banale va ad infrangersi con la
straordinarietà del dramma che sta per abbattersi su di loro a causa
dell’indisciplinato vicino. A simboleggiare l’arrivo del punto di massima
tensione c’è poi, presente in tutto il film sin dai titoli di testa, il grande
incendio alle porte di Los Angeles, il cui incalzare lo avvicina sempre di più
alle case dei protagonisti.
Lakeview Terrace è in definitiva un
buon lavoro, dalla trama semplice, quasi stereotipica, ma, almeno per tre
quarti di film, costruita bene, senza indulgere a facilonerie roboanti, anzi
sottile e dosato. Il problema sta però nel “crollo” finale, nel senso che lo scioglimento,
violento in modo quanto mai gratuito, è assolutamente tirato via, e restituisce
il film alla categoria delle “americanate muscolari” dalla quale era riuscito
fino a lì a tenersi abilmente distante. Tutte quelle semplificazioni e
banalizzazioni stereotipe che il film fin lì era riuscito ad evitare vengono
fuori tutt’a un tratto, e con gli interessi, nel finale. È veramente, a mio
parere, un finale “patacca” che rende estremamente complicato dare un giudizio
complessivo ad un film che fino a quel punto risulta davvero godibile e
interessante, maneggiando con gran disinvoltura temi dalla trattazione mai
semplice. Direi che merita comunque una visione.
Patrick Wilson e Samuel Jackson in una scena del film
PS:
Merita qualche parola “extra” la figura di Rodney King, il ragazzo di colore
linciato nel 1991 dai poliziotti bianchi. Il pestaggio fu ripreso da un
cittadino, e il filmato venne usato nel processo del 1992 in cui una giuria di
soli bianchi assolse i poliziotti. Fu questa decisione che fece esplodere la
rabbia degli afroamericani, che devastarono la città per giorni, con un
bilancio finale di 55 morti. Nel 1993 un secondo processo condannò i poliziotti
e sancì per King un risarcimento di quasi quattro milioni di dollari. Egli in
tutto questo divenne a furor di popolo una sorta di paladino dei diritti umani,
soltanto che era un ragazzo molto semplice abituato ad inciampare continuamente
(anche dopo il ’93) in guai con la giustizia, uno che non aveva certo il physique du rôle dell’eroe: «Le persone
mi guardano come se fossi Malcom X o Martin Luther King o Rosa Parks», ha detto
in aprile in un’intervista al Los Angeles
Times, «Avrei dovuto vivere vite come quelle e stare lontano dai guai e non
fare questo o quello. Ma è difficile essere all’altezza delle aspettative della
gente». Ora che, a soli 46 anni, è morto (è stato trovato annegato nella
piscina di casa), credo che per ricordare questo “eroe suo malgrado” si possano
citare le parole che disse in una conferenza stampa del 1992 quando, durante i
giorni degli scontri di Los Angeles, intervenne per cercare di placare le
acque. Parole così semplici che tutto sommato possono diventare pure un inno
alla nonviolenza: «Non possiamo andare tutti d’accordo?»
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