Brunori Sas, Vol. 2 – Poveri Cristi (2011)
Tracklist:
1. Il giovane Mario – 2. Lei, lui, Firenze – 3. Rosa – 4. Una domenica notte –
5. Il suo sorriso – 6. La mosca – 7. Bruno mio dove sei – 8. Animal colletti –
9. Tre capelli sul comò – 10. Fra milioni di stelle.
Voto: 8
Si
pensa spesso – ma temo che sia solo una miopia critica – che un giovane artista
per essere interessante debba per forza essere originale, rompere ad ogni costo
gli schemi e proporre qualcosa di assolutamente inedito. Senza nulla togliere
ai molti sperimentatori che effettivamente apportano con la loro ricerca una
ventata di interessante novità che svecchia lo stato dell’arte, questo “Streben”
tendente alla novità a tutti i costi rischia di essere pure una sterile
battaglia ad essere originali sempre e comunque anche quando di originale non
si ha niente, la vacua istanza di portare nuove idee da parte di chi idee nuove
non ne ha. E allora tanto vale non farne di nulla, restare nel solco della
tradizione: chi l’ha detto infatti che chi non rinnova non possa fare nulla di
interessante?
Piena
dimostrazione di quanto ho appena detto la dà, mi pare, Brunori Sas (che è del ’77,
quindi giovane giovane non è, ma al giorno d’oggi, specialmente in un campo
gerontocratico come la musica d’autore, è a pieno titolo una nuova leva) con Vol. 2 – Poveri Cristi (per l’appunto il
suo secondo album), in cui dal punto di vista musicale non propone
assolutamente niente di nuovo, mettendosi in scia alla corrente cantautoriale
italiana che mi sembra rifarsi soprattutto a Rino Gaetano, ma anche al primo De
Gregori (quello del periodo Buffalo Bill,
per intendersi). Ma non per questo la sua musica, ben scritta e arrangiata con
gusto e semplicità (gli strumenti acustici a farla da padrona), è poco
interessante o poco godibile, è anzi efficace e piacevole anche se,
chiaramente, non trascinante come potrebbe esserlo un disco rock.
Lo
stesso discorso vale a maggior ragione per quello che mi pare il punto di forza
di Brunori Sas, vale a dire la scrittura dei testi. Con il temperamento dei cantautori
“engagé” – viene in mente ancora Rino Gaetano, ma anche ovviamente De André –
Brunori Sas si cala totalmente nella realtà contemporanea e racconta l’Italia
della crisi. Il taglio scelto dall’Autore è inequivocabile, ed è il punto di
vista dell’ex ceto medio, di quella classe sociale – per lo più di operai,
precari e disoccupati – che più sta pagando i costi della crisi, quella che
fino a dieci anni fa viveva ed oggi sopravvive. Se De André cantava gli ultimi,
Brunori Sas canta i “penultimi”, quei poveri
Cristi, appunto, che con le unghie e con i denti provano a restare a galla,
che talvolta trovano consolazione nelle gioie piccole ma tutto sommato enormi
della vita – come l’amore – o che talvolta purtroppo si arrendono.
I
brani di questo disco allora sono come fotografie che Brunori Sas scatta con
mano fermissima su tranches de vie di
personaggi in crisi. Sin dal primo brano, il tostissimo Il giovane Mario, storia di un uomo mangiato dai debiti di gioco che
goffamente tenta il suicidio, capiamo che l’Autore non ha intenzione di usare
reticenza nei confronti delle storie che va raccontando. Rosa racconta di un emigrante che dalla Calabria va a Milano per
lavorare, e che prima perde la mano proprio sul lavoro e poi, forse a causa per
l’appunto di questa menomazione, perde pure la promessa sposa. Bruno mio dove sei – brano lacerante – è
la preghiera che una giovane vedova intona al suo uomo morto troppo presto (il
contesto dell’album ci suggerisce, anche se il brano non lo esplicita, che si
tratti di una morte bianca). Animal
colletti racconta la tentazione al suicidio di chi è senza più speranza.
Detto
così, Poveri Cristi sembra un album cupo e deprimente. In realtà, al di là che
qualche passaggio veramente toccante c’è e sarebbe strano il contrario, a far
da contraltare all’ineludibile pessimismo di alcuni pezzi c’è, come abbiamo
accennato, la concezione che non tutto sia veramente perso finché l’amore e le
altre gioie fondamentali della vita restano a scaldarci il cuore. “Le sigarette sul comodino e il cruciverba
poco più in là, mica l’avevo capito che era quella la felicità”: questo passaggio della già citata Bruno mio dove sei
(e che starebbe bene anche in Una
domenica notte) è epigrafe fondamentale dell’intero album, rendendone il
senso più genuino (anche Fra milioni di
stelle è in tal senso significativa).
A
dare ulteriore brio al lavoro non sono solo gli arrangiamenti folk molto
azzeccati, ma anche la felice vena di ironia che Bruonori Sas usa con
discrezione ed efficacia anche nei brani più duri. Le stesse Rosa e Animal colletti sono canzoni amaramente molto ironiche, così come Lei, Lui, Firenze, Tre capelli sul comò e Il
suo sorriso, pur parlando di temi non divertenti come la fine di un amore
o, nel terzo caso (un duetto con un’altra nuova leva come Dente), di
tradimento, lo fanno con un’indiscutibile ironia che alleggerisce il quadro.
L’impressione
definitiva è quella di un racconto, un racconto il cui Autore ha voluto
scrivere con una buona dose di ironia per renderlo più leggero ma non per
questo nascondendo la realtà difficile che si è proposto di descrivere. Anzi, c’è
quasi un piglio verista nelle storie di Brunori Sas, un’attenzione alle
difficoltà sociali degne di un Verga. Ed in effetti, purtroppo così stanno le
cose: l’Italia di oggi, tra crisi e recessione, sembra sempre di più la Sicilia
di Verga. E questo non è certo per colpa di Brunori Sas. Che anzi ha il merito
di raccontarci con bravura le cose come stanno.
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