Kitchen
Stories (2003)
Titolo
originale: Salmer fra Kjøkkenet
Regia:
Bent Hamer
Con: Joachim Calmeyer, Tomas Norström
Voto: 8,5
Quanto
tempo perde in cucina una qualsiasi casalinga solo perché si muove in un
ambiente di lavoro disposto in modo irrazionale che la costringe a molti
movimenti inutili? Per questo un ente svedese, l’Istituto di Ricerca Domestica
HFI, ha come mission lo studio della
abitudini delle casalinghe al fine di razionalizzare le loro cucine e rendere
più agevole il loro lavoro: «La casalinga
svedese», dice orgoglioso il presidente dell’HFI, «non deve più andare fino in Congo per un anno di pratica culinaria:
adesso sarà sufficiente il nord Italia». Ma perché limitarsi a studiare le
casalinghe? È giunta l’ora di “osservare” anche i maschi. Siamo nel secondo
dopoguerra (lo si capisce anche dal fatto che nel film le strade svedesi
prevedono la marcia a sinistra, e la Svezia è passata alla marcia a destra nel
1967), e la ricerca che è messa in scena in Kitchen
Stories riguarda gli scapoli norvegesi: i ricercatori dell’HFI vengono
mandati in un minuscolo paesino della Norvegia rurale a studiare le abitudini
dei maschi single. Il loro compito è preciso: piazzarsi su un seggiolone come
quello degli arbitri da tennis e riportare su appositi fogli gli spostamenti e
le azioni dell’“osservato”.
La
storia è inventata ma lo spunto iniziale, anche se sembra incredibile, è tratto
dalla realtà: nel secondo dopoguerra, in Scandinavia, gli studi di scienze
domestiche, volti a razionalizzare i lavori casalinghi, ottimizzando fornitura
e disposizione degli utensili e della attrezzature presenti soprattutto in
cucina, esistevano davvero. Specialmente la Svezia era all’avanguardia in
questo tipo di ricerche, e si racconta che il grande exploit mondiale di
un’azienda svedese come l’IKEA sia dovuto anche all’esperienza accumulata
durante questi studi. Il campo di osservazione di questi studi si limitava solo
alle casalinghe: l’invenzione di Bent Hamer, uno dei più affermati registi
norvegesi che firma con questo uno dei suoi film più famosi e stravaganti, sta
nell’aver immaginato che uno di questi studi fosse condotto avendo come
soggetto di indagine non donne ma uomini, e più precisamente scapoli norvegesi.
La condizione più importante, per non
interferire con i risultati di una ricerca così squisitamente positivista, è
non aver nessun contatto, neanche una parola, con l’osservato, cosa che
altrimenti influenzerebbe l’esito della ricerca. Considerata la proverbiale
ritrosia dei norvegesi, specialmente degli ispidi norvegesi di campagna, non
sembra una condizione particolarmente difficile da rispettare, eppure... Il
lieve e soffuso film di Bent Hamer gioca con le caratteristiche che più sono
famose, fino ad esser diventate luoghi comuni, dei popoli scandinavi, il rigore
e la freddezza, per raccontare come, sotto la spessa scorza di austera serietà
e schiva refrattarietà ai rapporti umani, batta un cuore che sa cedere al
calore dell’amicizia anche in contesti francamente poco stimolanti. Bent Hamer,
è proprio il caso di dirlo, cuoce il film a fuoco lento, con scene teatrali in
cui i dialoghi sono scarni e le immagini giocano un ruolo fondamentale, il
ritmo è basso e la storia è pressoché inesistente. L’amicizia tra i due
protagonisti non nasce in seguito ad un episodio preciso, ma sboccia piano
piano come un disgelo di primavera, fino a segnare profondamente la loro esistenza.
Sembrerebbe una storia di formazione ma forse non lo è, sia perché i
protagonisti sono in età decisamente matura, sia perché Bent Hamer si
accontenta di molto meno, ossia di narrare con tenerezza – nonché con una regia
statuaria tra le cui pieghe si insinua un’ironia mai chiassosa – la piccola
storia di una piccola amicizia in grado però col suo calore anche di sciogliere
i ghiacci che circondano il piccolo paese della Norvegia in cui è ambientata. Sono
“storie di cucina”, ma la cucina non è che un contesto, o un pretesto, per
inscenare una vicenda quasi teatrale, un piccolo divertissement sull’amicizia che scalda il cuore dello spettatore.
La Norvegia selezionò questo film per la corsa agli Oscar: anche se poi Kitchen
Stories non ce la fece ad entrare nella cinquina finale, si tratta di uno dei
film norvegesi più celebrati – e meglio distribuiti anche all’estero – degli
ultimi anni.
Una scena del film
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