L’appartamento
spagnolo (2002)
Titolo
originale: L’auberge espagnole
Regia:
Cédric Klapisch
Con:
Romain Duris, Judith Godrèche, Audrey Tautou, Cécile De France
Voto:
7
Avevamo
un sogno, ed ora non lo troviamo più. Sono passati dieci anni dall’uscita di L’appartamento spagnolo, che all’epoca
venne accolto pure con un qualche entusiasmo, ma sembra trascorso un secolo.
Quando ancora per i giovani il futuro era qualcosa da addentare con voluttà,
non una minaccia incombente come spada di Damocle, quando l’Unione Europea era
ancora il sogno di un sovra-stato multietnico nel quale costruire un nuovo
millennio di pace, e non il rancoroso ring dove gli stati litigano per mezzo
punto di pil, il film del francese Cédric Klapisch arrivò con tempismo perfetto
a raccontare quella flebile ondata di speranza che la crisi economica ha
travolto nel giro di pochi anni.
Per
raccontare l’entusiasmo giovanile per un’Europa che sembrava andare assumendo
la fisionomia di un’esuberante maxistato iperculturale e poliglotto, il
contesto da mettere in scena non poteva che essere che uno: una casa piena di
studenti fuori sede iscritti al progetto Erasmus. E la città in cui ambientare
il tutto non poteva che essere la capitale morale dei giovani europei:
Barcellona (tra l’altro auberge espagnole,
il titolo francese, è un’espressione idiomatica transalpina che indica un posto
particolarmente disordinato, ma la finezza è indirizzata soprattutto agli
spettatori francofoni). Il film deve la sua riuscita grazie alla gradevolezza
con cui questa ambientazione è messa in scena. È un lavoro assolutamente
claudicante nel quale in realtà non succede poi granché (un ragazzo francese va
a vivere un anno a Barcellona, dove vive in un appartamento di studenti
stranieri, e gliene capitano di tutti i colori), ma è anche un film molto
furbo, girato come un videoclip (non mancano neppure gli split screen e altri
espedienti “movimentati”), brioso nel ritmo e godibile nel suo intento di
commedia divertente senza troppi risvolti (si odora qua e là l’intenzione
escatologica del regista di raccontare la condizione esistenziale dei giovani
d’oggi, ma forse è solo un’impressione: se però erano questi gli intenti, non
sono stati raggiunti). Pensato per i giovani, che nella rutilante vita dei
protagonisti si possono rispecchiare fin quasi a sentirsene parte, ammicca
anche ai meno giovani, che sorseggiano la nostalgia dei bei tempi andati al
cospetto di cotanta gioventù piena di vita e di voglia di vivere. Quindi di
fatto il film funziona di per sé – e non era scontato: il tentativo di bissare
il successo in un seguito-fotocopia, uscito tre anni più tardi col titolo Bambole russe, non è andato per niente
bene – ed anche, come accennato prima, come documento del periodo storico in
cui nei confronti dell’Unione Europea c’è stata, prima della crisi, la fiducia
che potesse rappresentare davvero la risposta ai problemi di un continente da
secoli abituato alle divisioni e alle guerre.
Il
resto, per carità, è ancora da scrivere, per cui non fasciamoci la testa oltre
il dovuto. La crisi economica è una brutta bestia ma non è una guerra (anche se
non di rado le guerre scoppiano in seguito a crisi economiche, ma lasciamo
stare), e non è detto che le cose non tornino a posto e che la speranza si
rifaccia strada nei nostri cuori. L’amore di una donna, se dopo l’entusiasmo
iniziale capita che gli ardori si raffreddino, può anche essere riconquistato:
probabilmente però l’entusiasmo non sarà più quello di una volta, se non altro
sarà meno focoso. Qualcosa del genere potrebbe succedere anche nei confronti
dell’Europa unita, una volta finita la crisi. Resta da registrare che, almeno
oggi, un film come L’appartamento
spagnolo probabilmente non lo girerebbe più nessuno (anche per questo può essere
interessante dargli un’occhiata). In futuro, chissà?
Una scena del film
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