venerdì 26 agosto 2011

Blur - Modern Life is Rubbish


Blur, Modern Life is Rubbish (1993)
Tracklist: 1. For Tomorrow – 2. Advert – 3. Colin Zeal – 4. Pressure on Julian – 5. Star Shaped – 6. Blue Jeans – 7. Chemical World – Intermission – 8. Sunday Sunday – 9. Oily Water – 10. Miss America – 11. Villa Rosie – 12. Coping – 13. Turn It Up – 14. Resigned – Commercial Break
Voto: 8




Secondo album dei Blur, pubblicato nel 1993 e destinato ad un discreto esito commerciale però del tutto irrilevante se confrontato con il successo dei dischi che lo seguirono (a partire da Parklife, dell’anno successivo, che consacrò definitivamente il quartetto di Damon Albarn), Modern Life is Rubbish è comunque un lavoro tutt’altro che mal fatto, che si ascolta ancora oggi molto volentieri. Al di là di alcune imperfezioni in qua e in là (specialmente in sede di produzione, un aspetto che i Blur e il loro produttore Stephen Street avrebbero molto migliorato col tempo), Modern Life colpisce sia per la splendida vena compositiva dell’ancora giovane quartetto (dote che nel primo album Leisure era rimasta ancora piuttosto inespressa) che per la compattezza tematica delle canzoni.

Infatti, anche se definire Modern Life is Rubbish un concept-album è probabilmente eccessivo (per farlo, dovremmo utilizzare un criterio molto elastico che finirebbe per considerare concept molti altri dischi), l’intento principale di Albarn e compagni è sicuramente ben espresso, ed è quello di raccontare la quotidianità dell’Inghilterra degli anni ’90. Il titolo è molto forte – la vita di oggi fa schifo – e lascia ben tralasciare il pessimismo che anima le narrazioni che prendono vita dalle canzoni dell’album, ma non ci si aspetti un impasto musicale duro e hard, i Blur – per i quali sono ancora molto lontani i tempi di Song 2 – puntano al contrario su melodie molto orecchiabili, in cui non manca qualche momento più serrato (si pensi all’intro di Villa Rosie) ma che utilizza comunque in corso di arrangiamento strumenti classici come gli archi.

Del resto, non è la rabbia l’elemento dominante delle canzoni di Modern Life, anzi è un misto di sconsolatezza e rassegnazione (tant’è che è proprio la struggente Resigned a chiudere l’album) ben avvertibile sin dal singolo che apre il disco, For Tomorrow, in cui un ragazzo e una ragazza londinesi qualsiasi (come non di rado accade nelle canzoni dei Blur dell’epoca, i personaggi hanno un nome, in questo caso sono Jim e Susan) trovano nelle piccole gioie quotidiane (il classico tè delle cinque, il panorama da Primrose Hille) e nello stare insieme la forza per “tenere duro” per il domani, e superare le avversità.

Dopo questo primo affresco, i tableaux di Modern Life si susseguono in una giustapposizione di momenti quotidiani e personaggi qualsiasi alle prese con le difficoltà di tutti i giorni. Il desiderio di fuga – che è però anche un bisogno indotto dagli slogan della pubblicità la cui onnipresenza è pervasiva – trova spazio, in Advert, nei pensieri di chi, alle sei di sera, dopo un giorno di lavoro, aspetta l’arrivo della metropolitana per tornare a casa e si trova circondato da manifesti pubblicitari. In Star Shaped la mente va ancora ai progetti per il futuro, che si scontrano però con la consapevolezza della propria piccolezza, e la sensazione di sentirsi inutili. La tenerissima Blue Jeans prende spunto dalla ripetitività dell’abbigliamento (c’è un indumento più usato dei jeans?) per descrivere il ripetersi sempre uguale dell’esistenza e l’attenzione alle piccole cose. In Chemical World basta il titolo per capire di cosa si parla: non è solo l’inquinamento ad alterare il mondo, è come se qualcosa contaminasse le relazioni umane e rendesse la vita artefatta. Dopo la breve Intermission, un intervallo strumentale che separa idealmente i due tempi del racconto, si riparte con un altro grande affresco, quello di Sunday Sunday: domenica è sempre domenica, specialmente in Inghilterra, e la ritualità del dì di festa londinese – sempre uguale anno dopo anno – qua è rappresentata con alcuni elementi tipici, come la passeggiata al parco, l’acquisto della guida TV della settimana, l’incontro con un vecchio soldato che parla del passato, racconta che ha combattuto in due guerre mondiali e sostiene che l’Inghilterra che lui aveva conosciuto non esiste più. Miss America parla invece, attraverso il vagheggiamento di un incontro appunto con una irraggiungibile modella, del sogno di evadere dalla propria condizione, di superare l’anonimato dell’uomo qualsiasi e diventare “qualcuno”. Ma il sogno resta tale, e la canzone successiva è la già citata Villa Rosie: tutto quello che si può sognare è tutt’al più un pomeriggio in un centro benessere, dove andare a rilassarsi dopo una giornata di lavoro. Ancora pulsioni di ribellione in Coping, che restano intenzioni irrealizzate (“I’m too tired to care about it”: sono troppo stanco per pensarci), e si finisce con la già menzionata Resigned, dove il pessimismo del titolo viene stemperato dal fatto che tutto sommato un’ancora di salvezza c’è, come in For Tomorrow (si crea così una sorta di struttura ad anello tra inizio e fine album), ed è l’amore delle persone che si amano, solo quello può consentire la fuga della morsa mortale della quotidianità, e non può che essere così (“Only you can fill my blank heart and I’m resigned to that”: solo tu puoi riempire il mio vuoto cuore, e sono rassegnato a questo).

Tirando le fila, osserviamo allora che Modern Life rappresenta come in una sorta di piccolo trattato antropo-sociologico in musica la quotidianità inglese degli anni ’90. Il racconto si srotola appoggiandosi su molti oggetti-feticcio banali, su molte situazioni normali, e su un senso di oppressione cui si oppone un desiderio di ribellione o almeno di fuga. Ricorrente è il riferimento a modelli pubblicitari, tant’è che è lo strumentale Commercial Break a chiudere il disco (anche se in realtà è nella stessa traccia di Resigned). Potremmo pensare che i germi dei grandi disordini che hanno sconvolto l’Inghilterra qualche settimana fa siano tutti avvertibili già in questo lavoro del 1993. Il sentimento di impotenza e delusione della gioventù inglese deve essere rimasto lo stesso rispetto a quello raccontato dai Blur in Modern Life. Solo che all’epoca trovare un lavoro era facile, ed anzi uno degli aspetti che rendeva complicata la Modern Life era proprio il fatto di dover lavorare, magari facendo mestieri stancanti o poco interessanti. Oggi invece anche trovare quel pur vituperato lavoro è diventato complicato: la rassegnazione di cui i Blur parlavano nel ’93 e la miseria economica di oggi devono aver formato una miscela incandescente che alla fine era improbabile che non esplodesse. E la soluzione non è certo facile da reperire: le avvisaglie di quello che sarebbe successo – a chi avesse avuto le capacità per coglierle (cosa non semplice) – c’erano. Può bastare riascoltare un vecchio e ben fatto disco dei Blur per rendersene conto.


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