venerdì 13 maggio 2011

Per Olov Enquist - La biblioteca del Capitano Nemo

Per Olov Enquist, La biblioteca del Capitano Nemo, Giano, Milano, 2004, pagg. 285
Titolo originale: Kapten Nemos bibliotek
Anno di prima pubblicazione: 1991
Traduzione di Carmen Giorgetti Cima
Voto: 10



Come questo blog renderà presto evidente, sono un appassionato amante della letteratura nordica, in particolar modo di quella svedese. Questo mio amore nasce da un irresistibile colpo di fulmine: parlo di Per Olov Enquist – per l’appunto uno svedese – e del suo incredibile La biblioteca del Capitano Nemo. Ho letto questo libro qualche anno fa, per puro caso, ed è stata una scoperta epifanica – il viatico che mi ha aperto la “strada verso il nord” – ed ancora oggi lo considero uno dei libri migliori che ho mai letto. Non è un libro facile, ma è un libro ipnotico, un efficacissimo caso di poesia in prosa: la trama – che si sviluppa essenzialmente nella parte centrale del romanzo, quella a più ampio respiro ed anche probabilmente la più riuscita – non è l’elemento più importante (è la vicenda di un bambino che alla nascita, per errore, è stato affidato alla madre sbagliata e che a sei anni viene riconsegnato a quella giusta), colpisce piuttosto l’impressionante modo, introspettivo e profondo, con cui questi fatti vengono raccontati. Enquist in tal senso è un vero maestro di scrittura, in questo caso è bravissimo ad annullarsi nel punto di vista del bambino, dal quale le cose assumono una logica inconsueta e straniante. Così gli eventi stessi, specialmente all’inizio e alla fine, prendono una deriva allucinatoria molto affascinante, in grado di coinvolgere anche nei momenti in cui il simbolismo si fa più articolato rendendo l’interpretazione più complessa. La parte centrale, poi, è sublime. La logica del dolore muove il testo e c’è da condividere la quarta di copertina che parla per questo testo di una sorta di “fisiologia del dolore”. Mi ricordo che, alla Feltrinelli di Milano dove comprai il libro, esso era presentato da un cartellino che definiva il romanzo come adatto “a chi conosce il distacco da una persona amata”. È vero: il narratore presenta il suo dolore per i vari distacchi che subisce (essenzialmente dalla famiglia di origine ma non solo) con uno stile asciutto e irregolare, ma anche profondo e lacerante, tanto da far “vivere” più che capire al lettore i propri sentimenti. Insomma, si tratta di una gemma in bilico tra il visionario e l’autobiografico (alcuni dei personaggi erano già presenti in La partenza dei musicanti, magnifico romanzo storico giovanile di Enquist) alla quale lo stesso Autore, nel suo ultimo Una vita (la sua autobiografia), ammette di dare un’importanza capitale nel novero di tutta la sua produzione letteraria (produzione letteraria che, a mio modesto avviso, sarebbe degna di maggiore attenzione: dipendesse da me, gli darei pure il Nobel). Sarebbe allora interessante scoprire come mai un libro così decisivo non sia stato dato alle stampe dall’Iperborea – la casa editrice, su cui torneremo in futuro, specializzata in letteratura nordica, che ha in catalogo tutti gli altri libri di Enquist tradotti fino ad oggi in italiano – ma dalla più piccola Giano (tra l’altro con la traduzione, al solito impeccabile, di Carmen Giorgetti Cima, collaboratrice anche della stessa Iperborea): sarà per questo, o per chissà cos’altro, che il romanzo è ormai per lo più introvabile nelle patrie librerie. Ma su Internet, per chi fosse interessato a questo gioiello, qualche copia la si trova ancora…


Dopo avrei dovuto pensare: è strano come accadono le cose. Si prende una batosta, ma nulla è irreparabile. Certe volte è così spaventoso che si vorrebbe solo morire, ma quando tutto è così spaventoso che di più non si può, si sa che comunque in qualche modo si è vivi. Lo si sente. Brucia, e rimane come un piccolo punto rovente di dolore. E allora si vive, se non lo si perde per negligenza.
Non è necessario credere che tutto sia così felice, basta solo capire che c’è sempre qualcosa di meglio della morte. E poi bisogna anche conservare ciò che ci ha fatto male. Non ha senso farsi da parte, e dimenticare [...]. Perché allora che cosa ti rimane. Se non conservi niente, allora è ovvio che non ti rimane niente. E allora non c’è nessun senso in nulla di ciò che ti ha fatto male.
Allora ti ha fatto soltanto male. Senza nessuna utilità. E allora sei stato solo un essere umano del tutto inutile.
Forse, la prova che si è diventati esseri umani sta proprio nella fonte del nostro dolore.
(pagg. 157-8)

2 commenti:

  1. Carmen Giorgetti Cima17 luglio 2011 alle ore 17:44

    Grazie a Francesco Naldi - mi s'allarga il cuore a leggere questa recensione! Il 'Capitano Nemo' è il mio libro-cult, ho sudato anni per portarlo in Italia (Iperborea non l'ha mai voluto perché troppo 'duro'), riuscendo finalmente a pubblicarlo da Giano (grande editore di cui si sente la mancanza...). Un libro che avrebbe meritato un destino migliore, anche perché secondo me rimane l'opera fondamentale del grandissimo Enquist.
    Carmen Giorgetti Cima

    RispondiElimina
  2. Ricordo ai lettori di questo blog che, come sapranno, Carmen Giorgetti Cima è una delle più quotate traduttrici dallo svedese all’italiano, ed ha in curriculum alcuni pezzi da novanta come la trilogia di Stieg Larsson. È quindi un onore per me, e per il mio blog così “di nicchia”, ospitare un commento così prestigioso. La ringrazio di questo, e anche di aver fatto luce sul retroscena che svela perché l’Iperborea non ha pubblicato un libro così bello e importante come “La biblioteca del Capitano Nemo”. L’iter che porta alla pubblicazione o meno di un libro è fatto anche di considerazioni “mercantili” che, a chi come me – e alla maggior parte dei lettori – è interessato solo agli aspetti “letterari”, sfuggono: l’Iperborea, come ogni altra casa editrice, avrà i suoi criteri di scelta ed è libera di muoversi come preferisce. Tuttavia, almeno da un punto di vista letterario, la rinuncia al “Capitano Nemo” mi pare comunque poco felice: non solo perché è un capolavoro, ma anche perché è un libro fondamentale di un Autore di cui Iperborea – e questo è un merito – ha pubblicato molti titoli, alcuni dei quali sicuramente non facili (come “Il viaggio di Lewi”). Lo stesso Enquist, in “Un’altra vita” (sempre da Iperborea, 2010), definisce senza mezzi termini “Il Capitano Nemo” come il romanzo che gli “salvato la vita” (p. 531). Insomma, sarebbe stato davvero un peccato non poter leggere in italiano un libro così fondamentale, e sarebbe stato difficile capire a pieno altri romanzi di Enquist (soprattutto appunto “Un’altra vita”, ma non solo) senza conoscere “Il Capitano Nemo”: l’Iperborea è una importante casa editrice che ha fatto moltissimo per far conoscere in Italia grandissimi autori del Nord Europa, però in questo caso penso che abbia peccato di eccessiva prudenza. Del resto, anche i migliori sbagliano; per fortuna che Giano ci ha messo una pezza!
    Grazie ancora del commento e dell’interessante testimonianza,
    Francesco.

    RispondiElimina