venerdì 21 settembre 2012

Non ci resta che piangere


Non ci resta che piangere (1984)
Regia: Roberto Benigni, Massimo Troisi
Con: Roberto Benigni, Massimo Troisi
Voto: 9,5





Se recensire un film significa segnalarlo per farlo conoscere, un film di culto come Non ci resta che piangere non ha bisogno di alcuna recensione, visto che lo conoscono tutti, ed è difficile trovare qualcuno che non l’abbia visto più volte. È bello comunque parlare del lavoro di Benigni e Troisi per omaggiare una pellicola che dev’essere frutto di un qualche incantesimo, di una magia particolare, visto che riesce a far ridere a crepapelle ogniqualvolta la si guardi e riguardi, e questo senza ricorrere mai ad espedienti volgari o caciaroni, ma solo semplicemente grazie all’incredibile talento di due grandissimi attori comici all’opera durante un felicissimo stato di grazia.

Di fatto, non è semplice parlare di questo film, che è al tempo stesso complesso e semplicissimo. Complesso non solo perché ha una robusta produzione alle spalle, ma soprattutto perché ogni singola scena regala momenti di alta ilarità, e non è facile – anzi – riuscire a far ridere con tanta costanza e continuità. Semplice perché è un film che praticamente non ha una sceneggiatura, ma solo un soggetto di massima, elaborato da Roberto Benigni e Massimo Troisi che non solo interpretano la pellicola ma anche l’hanno scritta e diretta. Dal punto di vista strettamente tecnico, potremmo parlare anche di un film che fa acqua da tutte le parti, di una regia praticamente assente, di una trama che si basa su una sola vera trovata strutturale – l’inspiegabile salto temporale che porta i due protagonisti, un maestro elementare ed un bidello, dai giorni nostri al 1492: l’effetto di straniamento causato da questa situazione così particolare è il primo motore che dà via alla comicità del film – e che grossomodo regge per metà film (finché i protagonisti restano nell’improbabile paesino in cui si ritrovano catapultati, Frittole) e che collassa totalmente nella seconda metà, quando seguire la storia dei due personaggi – adesso partiti alla volta della Spagna per cercare di fermare Cristoforo Colombo nonostante le insidie di un’affascinante quanto pericolosa amazzone che cerca chissà perché di fermarli – diventa quasi impossibile (nella versione dvd c’è un finale alternativo, abbastanza lungo, in cui la trama ha molto più senso, ma che è stato tagliato dal montaggio finale perché decisamente meno divertente). È per questo che la “critica ufficiale” ha più volte inveito senza pietà nei confronti di questo film, bollato spesso come un’occasione sprecata o addirittura come un lavoro non riuscito. Al contrario, io ritengo che, nonostante tutto questa trasandatezza tecnica, o magari proprio grazie ad essa (che in fin dei conti consente allo spettatore di trascurare la storia per porre tutta la propria attenzione sui due primi attori), Non ci resta che piangere funzioni veramente alla grande. È opinione diffusa che Benigni e Troisi in quel periodo fossero così in forma che avrebbero potuto fare un film divertente anche semplicemente sedendosi su una panchina e mettendosi a parlare insieme per un paio di ore. Probabilmente è così. Il film, sebbene non vi manchino attori bravi che fanno la loro parte, sa di pretesto per consegnare la scena a due comici di levatura internazionale che si scatenano in una lunghissima serie di esilaranti assoli. L’assenza di una sceneggiatura precisa consente loro di sbizzarrirsi in un’improvvisazione che solo i grandi possono rendere così piacevole, divertente e scoppiettante: non c’è rivalità tra i due, né voglia di dimostrare l’uno all’altro di essere il migliore, bensì una complicità totale che rende perfette le loro gag. In un film che, mutatis mutandis, ha un che dell’antica commedia dell’arte o del teatro pregoldoniano (mancano chiaramente le maschere, ma il “fenotipo” interpretato dai due attori ha comunque caratteri molto marcati), si susseguono scene di culto (dal mitico “Mo’ me lo segno” di Troisi al predicatore che gli ricorda che deve morire fino alla memorabile lettera a Savonarola, riuscitissimo omaggio a Totò e Peppino) il cui non sempre riuscito allacciamento reciproco, specialmente nella seconda parte, non inficia come detto la riuscita globale del lavoro, il cui scopo non è raccontare una storia ma creare un contesto, e un proscenio, a Benigni e Troisi per dar fuoco alle polveri della loro irresistibile vis comica.

Era il 1984, gli allora giovani Benigni e Troisi ebbero modo di dimostrare ancora in futuro il loro talento, il primo addirittura facendo incetta di Oscar per La vita è bella, il secondo regalandoci tra l’altro una perla di rara bellezza come Il postino; come tutti sanno, però, Troisi ci ha lasciato nel 1994, a nemmeno metà di quel che era, e sarebbe potuto essere ancora di più, un percorso artistico sensazionale. Manca molto Troisi al cinema italiano di oggi, ma il suo ricordo è intaccabile, e proprio film come Non ci resta che piangere, che non invecchiano mai col passare del tempo, contribuiscono a eternarlo. Riguardarlo oggi e ridere come allora: non c’è migliore omaggio per onorare Benigni e la memoria di Troisi, e non c’è migliore regalo che loro potessero farci.

Roberto Benigni e Massimo Troisi in quella che forse è la più famosa scena del film, quella della lettera a Savonarola

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