Jalla!
Jalla! (2000)
Titolo
originale: Jalla! Jalla!
Regia: Josef Fares
Con: Fares Fares, Torkel Petersson, Tuva Novotny, Laleh
Pourkarim
Voto:
8
Roro
è un ragazzo libanese immigrato in Svezia dove è meravigliosamente integrato,
ha un lavoro ed una splendida fidanzata autoctona. Ha però un problema: la sua
famiglia, una tradizionalista famiglia libanese, ha deciso di combinargli il
matrimonio con una ragazza, anch’essa libanese – e chiaramente né lui né lei
hanno intenzione di celebrare queste nozze, anche se non sanno come sottrarsi
alle pressioni delle rispettive famiglie (di solito, in film di questo genere, la ragazza con cui la famiglia del ragazzo combina il matrimonio è una baffuta inguardabile: in questo caso, la signorina è invece veramente carina, ma questo chiaramente non cambia la posizione di Roro). Anche Måns, un amico svedese di Roro,
ha una fidanzata (anch’essa del posto) e un problema: una brutta impotenza che
dura da qualche settimana, che lo terrorizza – ed ha una paura incontrollabile
di farsi vedere da un dottore – e che mina le basi del suo rapporto
sentimentale (la sua ragazza, ça va sans dire, non gradisce l’astinenza
forzata).
Gli
ingredienti di Jalla! Jalla! sono
questi: sta al regista Josef Fares – non a caso un libanese emigrato in Svezia
(il fratello minore è il protagonista del film) – il compito di dare ritmo ad
uno script pensato per fare incappare i protagonisti in situazioni paradossali
e divertenti che li vedono, ovviamente, sempre di corsa (il titolo significa “presto, presto!”)
E,
a conti fatti, il compito al regista riesce. Jalla! Jalla!, nonostante
la vittoria di qualche premio internazionale invero non di primo piano (come il
Bermuda International Film Festival), non è stato propriamente osannato dalla
critica (anche se il riscontro al botteghino, specialmente in patria, non è
stato male). Eppure è un film simpatico. Chiaramente, è una commedia leggera
senza troppe pretese, forse in taluni casi un po’ spinta – specialmente le
parti sull’impotenza di Måns non sono roba da educande – anche se mai
eccessivamente greve.
Comunque,
sullo sfondo – e nemmeno troppo – si sfiorano anche argomenti seri. Il tema
dell’integrazione degli immigrati – sulla falsariga di un film abbastanza noto
come East Is East – è affrontato dal
punto di vista degli stranieri di seconda generazione, quelli che ormai hanno
assunto pienamente i costumi del paese che li ospita. È un tema che in passato
ha portato ad episodi tragici anche nella cronaca reale (si pensi alla
drammatica sorte di Hina Saleem, la ragazza pakistana accoltellata dal padre
nel 2006 in provincia di Brescia a vent’anni): le famiglie di emigranti cercano
di portare con sé i propri costumi ma i loro figli, a contatto con le usanze
del posto, non vogliono saperne di restare ancorati alle proprie tradizioni.
Con tutta la leggerezza che un film del genere ha, dribblando qualsiasi
risvolto drammatico, il tema affrontato è proprio questo. Il regista, dall’alto
della sua duplice nazionalità, non si schiera a favore dei libanesi o degli
svedesi, bensì mostra come l’integrazione sia un dato ineludibile – e tutto
sommato positivo – della società contemporanea: più che un conflitto
inter-etnico, vanno in scena conflitti intra-etnici, nel senso che i veri
scontri si hanno all’interno delle comunità (ci sono due grandi risse nel film,
nella prima a picchiarsi sono gli svedesi, nella seconda i libanesi), mentre gli
svedesi e i libanesi, quando si “mescolano”, vanno per lo più d’amore e d’accordo
(anzi, soprattutto d’amore).
Insomma,
non mancano gli spunti di interesse, anche la cifra stilistica – e lo scopo
complessivo – dell’intera opera è poi quella di divertire con una commedia
gradevole, che in effetti regala un’ora e mezzo di distensione a chi lo guarda.
Tuna Novotny e Fares Fares in una scena del film
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