John Niven, A
volte ritorno, Einaudi, Torino, 2012, pagg. 381
Titolo originale: The
Second Coming
Anno di prima pubblicazione: 2011
Traduzione di Marco Rossari
Voto: 9
Il
Dio e il Gesù protagonisti di A volte
ritorno, folgorante lavoro dello scozzese John Niven, Dio e Gesù ai quali
non è estraneo il turpiloquio (e l’effetto di straniamento che si prova nel
vedere all’opera santità così sboccate è uno degli ingredienti che rendono così
comico questo testo), direbbero che questo è “un cazzo di grande romanzo!” In
effetti, John Niven fa un piccolo miracolo (tanto per restare in tema) nel
costruire la storia di un “Second Coming”
(come da titolo originale) di Gesù sulla Terra con una divertente trivialità
allegramente blasfema che non tutti apprezzeranno (e qualche passaggio un po’
troppo sopra le righe è innegabile che ci sia, ma fa parte del gioco
orchestrato dall’Autore) ma in modo tutt’altro che sciatto e superficiale, anzi
con un senso etico molto sui generis
ma altrettanto forte. Niven propone infatti una sorta di “revisionismo alcolico”
della religione (di ogni religione) che, al di là degli istrionismi che non
mancano a questo scrittore così poco politically
correct, mira a spogliare la teologia di tutti i fronzoli formali che da
sempre la innervano per ridurla a pura sostanza morale ma tutt’altro che moralistica, cioè ad un unico mero
comandamento molto semplice, “Fate i bravi”. “Crede davvero che a Dio freghi un cazzo di niente se Lo adorate oppure
no?”, chiede il Gesù di questo romanzo ad un prete verso la fine del
racconto (p. 301), e qui sta la stravagante ma tutto sommato felice (e, perché
no?, condivisibile) intuizione niveniana, ossia la “Cristopoiesi” di un Dio cui
non interessa nulla degli aspetti teologici della religione, ma è bensì
interessato soltanto al fatto che gli uomini “facciano i bravi”. Per questo
quando, al ritorno da una vacanza (pure Dio, che tra l’altro è un grande
appassionato di sport, ha diritto ad un po’ di riposo ogni tanto!), scopre che
nel 2010 le cose sulla Terra vanno come vanno – guerre, sperequazioni sociali,
inquinamento e addirittura gente che sparge odio in nome della fede – decide di
rispedire suo figlio (anzi, Suo figlio) sulla Terra affinché, nonostante la
prima volta sia finita come sappiamo, rimetta in sesto le cose. E il figlio va:
il romanzo è diviso in parti connesse narrativamente ma ognuna (a parte la
prima, che è un prologo davvero irresistibile) incentrata su un episodio
specifico della seconda vita terrestre di Gesù, che si muove da New York al
Texas passando per Los Angeles lungo una serie di avventure che lo renderanno prima
cantante e poi fondatore di una stravagante comune drop out, fino ad un finale realmente esplosivo che commuove e
diverte allo stesso tempo. E funziona tutto molto bene: lo stile di Niven è
semplice e giovanile, talvolta quasi colloquiale ma comunque scorrevole e
funzionale ad una vicenda avvincente narrata con un “montaggio veloce” quasi da
videoclip musicale (del resto la musica è una grande protagonista del
racconto). A far da contrappunto a tutto questo è la grande vis comica della
penna di Niven, che dona elettricità ad ogni pagina del testo. Divertente, folle
e pericolosamente dissacrante, ma a conti fatti anche intelligente, A volte ritorno merita senz’altro una
lettura.
«Fate i
bravi». Ogni volta che Dio ripensa alla meravigliosa semplicità di quella
frase, il Suo unico e originale comandamento, gli subentra in automatico un
altro pensiero: quel coglione di Mosè, ecco chi. Tutta una marea di stronzate
sul desiderare o meno il bue del vicino. (Mosè, si sapeva, era sempre stato un
ticchio fuori di testa. Un ticchio? Quel tipo era uno schizzato bello e buono).
Perché? Come gli era venuto in mente di metterci il sesso? Potere. Ambizione.
Ego. Così va il mondo.
(pag. 23)
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