venerdì 16 dicembre 2011

Emilio Salgari - Le tigri di Mompracem


Emilio Salgari, Le tigri di Mompracem, Newton Compton, Milano, 1994, pagg. 284
Anno di prima pubblicazione: 1900 (ma una prima versione, intitolata La tigre della Malesia, era apparsa già nel 1884)
Voto: 8




L’anno che va chiudendosi tra un paio di settimane, il 2011, non è solo il centocinquantenario dell’Unità d’Italia, ma anche il centenario della tragica morte per suicidio di uno dei più grandi scrittori “leggeri” che la nostra nazione abbia mai avuto, Emilio Salgari. Mi sembra giusto allora dedicare a lui l’ultimo libro recensito quest’anno, e parlare di uno dei suoi migliori e più celebri lavori, Le tigri di Mompracem. Scrittore per ragazzi in un’epoca in cui la letteratura per l’infanzia era considerata robetta da bancarella dell’usato, l’ostinazione quasi ossessiva con cui Salgari ha lottato per campare della propria penna fa venire in mente il suonatore Jones di Edgar Lee Masters (e dell’omonima canzone di De André) – l’artista che vive d’arte per amore dell’arte, che suona perché sa suonare e gli piace lasciarsi ascoltare, quantunque la critica “ufficiale” lo circondi di incomprensione e lo frustri con spocchiose alzate di spalle. Al giorno d’oggi, uno scrittore con un repertorio come quello di Salgari farebbe con i soli diritti d’autore una vita alla J. K. Rowling, apprezzato dalla critica e osannato dal pubblico, tanto che i lettori farebbero la fila in libreria per assicurarsi il suo ultimo lavoro. Invece in tal senso Salgari è nato nel secolo sbagliato, era considerato poco più che un cialtrone imbrattacarte e, sebbene un pubblico numeroso lo seguisse con affetto, era sempre in bolletta e inseguito dai creditori. Pensate che proprio lui, un Autore così attento all’esotico e solito nell’ambientare nelle più disparate parti del mondo i propri romanzi, non è riuscito a mettere mai piede fuori dall’Italia.

Eppure, leggere Salgari oggi non è solo fare un omaggio ad un maestro oscuro della nostra narrativa che avrebbe meritato di ricevere già in vita i tributi che gli sono stati dedicati post mortem (oggi Salgari non sarà considerato un padre della letteratura, ma è stato comunque abbondantemente rivalutato, com’è giusto che sia). No, leggere Salgari oggi è anche immergersi in un mondo narrativo che affascina e ammalia ancora oggi. Scrittore bulimico anche per necessità, ha in repertorio titoli poco noti e sicuramente di livello basso: i romanzi più riusciti, come Le tigri di Mompracem, sono tuttavia impeccabili. Abbiamo definito Salgari uno scrittore per ragazzi, e certo erano loro i destinatari cui si rivolgeva il veronese, e senza dubbio ancora oggi sono i più giovani i fruitori privilegiati dell’opera salgariana (anche se purtroppo oggi molti giovani, senza sapere quanto divertimento si stiano perdendo, leggono pochissimo). Ciononostante, i romanzi di Salgari sono pienamente apprezzabili anche da un adulto: quella salgariana non è solo specificamente letteratura per ragazzi, ma più in generale letteratura d’evasione. E non è facile né scrivere per ragazzi né scrivere per divertire: a Salgari entrambe le cose riuscivano con spettacolare facilità, con ricorso a tecniche che sembrano precorrere gli espedienti narratologici dei film di Indiana Jones o 007.

È chiaro quindi che leggendo Salgari non si cerca il capolavoro, si cerca il divertimento, come quando si aprono le pagine di un Dan Brown o di un Wilbur Smith, con tutti i pregi e anche tutti i limiti che ciò comporta. E a tal proposito quello che più colpisce è che il romanzo salgariano funziona, per così dire gira implacabilmente ipnotizzando il lettore. Ritmo, innanzitutto c’è ritmo: prendete proprio Le tigri di Mompracem e vi troverete avventure una dopo l’altra che si susseguono con tempi perfetti, mai troppo corte per non deludere l’attesa, mai troppo lunghe per non annoiare, con stacchi bilanciati tra un’azione e l’altra e la giusta suspense. Non c’è una scena fuori posto, tutto è funzionale alla riuscita della trama. Lo stile è un po’ “vecchio” (uno scrittore che oggi usasse il linguaggio di Salgari apparirebbe perlomeno un tantino neoclassico) ma è anch’esso rigorosamente equilibrato, e si legge ancora oggi senza alcuno sforzo, al di là di alcuni vocaboli tecnici o esotici che richiedono qualche nota a piè di pagina. L’ambientazione è incredibile: sebbene l’Autore non sia mai stato come detto fuori dall’Italia, con Le tigri di Mompracem il lettore è nel Borneo, sente l’esotico sulla propria pelle, lo vede stagliarsi nitido nelle righe del romanzo. L’arte evocativa di Salgari in questo è davvero strabiliante, considerando anche che l’uso delle descrizioni è certo ampio ma mai eccessivo.

E poi, ovviamente, ci sono loro, i capisaldi della narrativa salgariana: i personaggi. Gli eroi di Salgari sono un po’ infantili e inverosimili (ma del resto anche Indiana Jones è infantile e inverosimile), ma sono splendidi. In questo romanzo troviamo calibri come Sandokan, il pirata sanguinario che cede all’amore, Yanez, il suo affezionato alter ego furbo come Ulisse, le icastiche Tigri di Mompracem sempre pronte alla pugna, la meravigliosa Lady Marianna, così splendida che fa innamorare non solo Sandokan ma anche il lettore, il subdolo Lord James Guillonk, implacabile come un cobra, e così via. E Salgari, precursore anche in questo, non sta con gli europei ma con gli autoctoni, sta con i vinti, in un forte anti-imperialismo ante litteram che stigmatizza senza esitazioni il ruolo del colonialismo europeo nel Terzo Mondo. Insomma, ci sono mille e più motivi per amare un romanzo come Le tigri di Mompracem: se volete passare un Natale all’insegna dell’avventura e del divertimento, vi consiglio di riscoprire questa gioiosa gemma di inizio Novecento.

Forse che gli uomini di razza bianca non sono stati inesorabili con me? Forse che non mi hanno detronizzato col pretesto che io diventavo troppo potente? Forse che non hanno assassinato mia madre, i miei fratelli e le mie sorelle, per distruggere la mia discendenza? Quale male avevo io fatto a costoro? La razza bianca non aveva mai avuto da dolersi di me, eppure mi volle schiacciare. Ora li odio, siano spagnuoli, od olandesi, o inglesi o portoghesi tuoi compratiotti, io li esecro e mi vendicherò terribilmente di loro, l’ho giurato sui cadaveri della mia famiglia e manterrò il giuramento!
(pag. 39)

Nessun commento:

Posta un commento