venerdì 13 gennaio 2012

Jalla! Jalla!


Jalla! Jalla! (2000)
Titolo originale: Jalla! Jalla!
Regia: Josef Fares
Con: Fares Fares, Torkel Petersson, Tuva Novotny, Laleh Pourkarim
Voto: 8




Roro è un ragazzo libanese immigrato in Svezia dove è meravigliosamente integrato, ha un lavoro ed una splendida fidanzata autoctona. Ha però un problema: la sua famiglia, una tradizionalista famiglia libanese, ha deciso di combinargli il matrimonio con una ragazza, anch’essa libanese – e chiaramente né lui né lei hanno intenzione di celebrare queste nozze, anche se non sanno come sottrarsi alle pressioni delle rispettive famiglie (di solito, in film di questo genere, la ragazza con cui la famiglia del ragazzo combina il matrimonio è una baffuta inguardabile: in questo caso, la signorina è invece veramente carina, ma questo chiaramente non cambia la posizione di Roro). Anche Måns, un amico svedese di Roro, ha una fidanzata (anch’essa del posto) e un problema: una brutta impotenza che dura da qualche settimana, che lo terrorizza – ed ha una paura incontrollabile di farsi vedere da un dottore – e che mina le basi del suo rapporto sentimentale (la sua ragazza, ça va sans dire, non gradisce l’astinenza forzata).

Gli ingredienti di Jalla! Jalla! sono questi: sta al regista Josef Fares – non a caso un libanese emigrato in Svezia (il fratello minore è il protagonista del film) – il compito di dare ritmo ad uno script pensato per fare incappare i protagonisti in situazioni paradossali e divertenti che li vedono, ovviamente, sempre di corsa (il titolo significa “presto, presto!”)

E, a conti fatti, il compito al regista riesce. Jalla! Jalla!, nonostante la vittoria di qualche premio internazionale invero non di primo piano (come il Bermuda International Film Festival), non è stato propriamente osannato dalla critica (anche se il riscontro al botteghino, specialmente in patria, non è stato male). Eppure è un film simpatico. Chiaramente, è una commedia leggera senza troppe pretese, forse in taluni casi un po’ spinta – specialmente le parti sull’impotenza di Måns non sono roba da educande – anche se mai eccessivamente greve.

Comunque, sullo sfondo – e nemmeno troppo – si sfiorano anche argomenti seri. Il tema dell’integrazione degli immigrati – sulla falsariga di un film abbastanza noto come East Is East – è affrontato dal punto di vista degli stranieri di seconda generazione, quelli che ormai hanno assunto pienamente i costumi del paese che li ospita. È un tema che in passato ha portato ad episodi tragici anche nella cronaca reale (si pensi alla drammatica sorte di Hina Saleem, la ragazza pakistana accoltellata dal padre nel 2006 in provincia di Brescia a vent’anni): le famiglie di emigranti cercano di portare con sé i propri costumi ma i loro figli, a contatto con le usanze del posto, non vogliono saperne di restare ancorati alle proprie tradizioni. Con tutta la leggerezza che un film del genere ha, dribblando qualsiasi risvolto drammatico, il tema affrontato è proprio questo. Il regista, dall’alto della sua duplice nazionalità, non si schiera a favore dei libanesi o degli svedesi, bensì mostra come l’integrazione sia un dato ineludibile – e tutto sommato positivo – della società contemporanea: più che un conflitto inter-etnico, vanno in scena conflitti intra-etnici, nel senso che i veri scontri si hanno all’interno delle comunità (ci sono due grandi risse nel film, nella prima a picchiarsi sono gli svedesi, nella seconda i libanesi), mentre gli svedesi e i libanesi, quando si “mescolano”, vanno per lo più d’amore e d’accordo (anzi, soprattutto d’amore).

Insomma, non mancano gli spunti di interesse, anche la cifra stilistica – e lo scopo complessivo – dell’intera opera è poi quella di divertire con una commedia gradevole, che in effetti regala un’ora e mezzo di distensione a chi lo guarda.

Tuna Novotny e Fares Fares in una scena del film

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