venerdì 14 giugno 2013

Thor Heyerdahl - Kon-Tiki

Thor Heyerdahl, Kon-Tiki, Robin edizioni, Roma, 2005, pagg. 421
Titolo originale: Kon-Tiki
Anno di prima pubblicazione: 1948 (postfazione del 1994)
Traduzione di Amuk Aaare
Voto: 9



Purtroppo Thor Heyerdahl non è più tanto famoso come un tempo, anche se di certo non è uno sconosciuto, ed è un peccato che se ne stia un po’ perdendo la memoria, perché fu un grande personaggio del Novecento, forse l’ultimo vero esploratore della storia, uomo di scienza e d’azione, pronto a “sporcarsi le mani” sul campo per dimostrare l’esattezza e la fondatezza delle proprie teorie. Tra le tante “imprese” di questo studioso norvegese, la più famosa, risalente al 1947, è quella raccontata nel suo libro Kon-Tiki (da cui è stato tratto anche un recente film, un ottimo lavoro che ha ottenuto pure una candidatura agli ultimi Oscar).

Convinto che i popoli polinesiani derivassero da popolazioni pre-incaiche arrivati in Oceania dall’America del Sud per mezzo di zattere, Heyerdahl si trovò contro l’intera autorità scientifica e i suoi dogmi, secondo cui nessuna imbarcazione così rudimentale avrebbe mai potuto attraversare da sponda a sponda un mare così ampio e insidioso come l’Oceano Pacifico. Heyerdahl non ci sta ad accettare supinamente le deboli confutazioni che gli vengono opposte dalla scienza “ufficiale”, e passa dalla teoria alla pratica: fa costruire una zattera proprio come quelle pre-incaiche battezzata Kon-Tiki e, con cinque uomini di equipaggio oltre a lui, salpa dal porto peruviano di Callao e, dopo cento giorni di viaggio, approda in Polinesia, dimostrando che zattere di quel tipo possono eccome compiere un simile viaggio.

Kon-Tiki è il resoconto di quel viaggio avventuroso e un po’ folle, dalla preparazione negli Stati Uniti e in Ecuador (qua vennero acquistati i tronchi in balsa per la zattera) fino al folcloristico soggiorno presso le tribù polinesiane dopo lo sbarco, passando ovviamente attraverso il nerbo centrale del racconto, il lungo viaggio lungo il Pacifico su una zattera senza motore, sospinta solo da una vela oltre che dal soffio costante e protettivo dell’aliseo.

Scritto in un tono sobrio e leggero, Kon-Tiki è quindi il racconto vero di un’avventura realmente avvenuta, divertente e intrigante come lo sono i racconti di avventura. È tuttavia anche molto di più. È una storia umana, la prova effettiva che la forza più potente dell’uomo sta nelle sue idee, in ciò in cui crede, che nessuna impresa è veramente infattibile se a monte vi sta la forte e motivata convinzione in ciò in cui si sta facendo: l’apparente incoscienza di Heyerdahl sta nella sua certezza che molti altri prima di lui avessero fatto quel lungo viaggio su una zattera; e chi crede in ciò che fa può fare tutto, anche le imprese che sembrano più insensate, quelle che tutti ritengono disperate.

È anche una riflessione scientifica. Naturalmente, si parla molto dell’argomento teorico centrale del testo, ossia la storia delle genti del Pacifico, con approfondimenti molto chiari e interessanti sui movimenti umani che vi si sono svolti in passato. Ma è molto presente anche un ragionamento più generale sulla scienza contemporanea e soprattutto sulla comunità scientifica contemporanea, che sarà pure post-galileiana ma che a conti fatti è spesso tutt’altro che galileiana, dato che non disdegna di sedersi acriticamente su convinzioni dogmatiche assolutamente infondate e, senza alcuna volontà di studiare altre teorie fuori dal coro, considera stregone eretico chi propone ipotesi nuove, anche se suffragate da dati attendibili.

Insomma, Kon-Tiki è un testo quanto mai ricco che, a fronte di un successo che all’uscita fu clamoroso e senza confini (si parla di traduzioni in sessantasette lingue!) è oggi un po’ dimenticato, almeno in Italia. Onore quindi alla Robin edizioni, una piccola casa editrice che, anche se con una traduzione a tratti un po’ incerta, ha l’indubbio merito di aver riproposto al pubblico italiano un testo così interessante e al tempo stesso avvincente.

Solo gli elementi contavano. E gli elementi sembravano ignorare la piccola zattera, forse la consideravano una parte della natura che non guastava l’armonia del mare ma anzi vi si conformava, seguendo la corrente e le onde, come gli uccelli marini e i pesci. Invece di essere nemici terrificanti e scagliarsi contro di noi con la bava alla bocca, gli elementi erano diventati amici sicuri e fidati su cui contare e che ci aiutavano a proseguire. Mentre il vento e le onde ci urtavano e ci spingevano, la corrente rimaneva sotto di noi e ci portava direttamente alla meta.

(pagg. 157-8)

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