Thor Heyerdahl,
Kon-Tiki, Robin edizioni, Roma, 2005, pagg. 421
Titolo originale: Kon-Tiki
Anno di prima pubblicazione: 1948 (postfazione del
1994)
Traduzione di Amuk Aaare
Voto: 9
Purtroppo Thor
Heyerdahl non è più tanto famoso come un tempo, anche se di certo non è uno
sconosciuto, ed è un peccato che se ne stia un po’ perdendo la memoria, perché
fu un grande personaggio del Novecento, forse l’ultimo vero esploratore della
storia, uomo di scienza e d’azione, pronto a “sporcarsi le mani” sul campo per
dimostrare l’esattezza e la fondatezza delle proprie teorie. Tra le tante “imprese”
di questo studioso norvegese, la più famosa, risalente al 1947, è quella
raccontata nel suo libro Kon-Tiki (da
cui è stato tratto anche un recente film, un ottimo lavoro che ha ottenuto pure
una candidatura agli ultimi Oscar).
Convinto che
i popoli polinesiani derivassero da popolazioni pre-incaiche arrivati in
Oceania dall’America del Sud per mezzo di zattere, Heyerdahl si trovò contro l’intera
autorità scientifica e i suoi dogmi, secondo cui nessuna imbarcazione così
rudimentale avrebbe mai potuto attraversare da sponda a sponda un mare così
ampio e insidioso come l’Oceano Pacifico. Heyerdahl non ci sta ad accettare
supinamente le deboli confutazioni che gli vengono opposte dalla scienza “ufficiale”,
e passa dalla teoria alla pratica: fa costruire una zattera proprio come quelle
pre-incaiche battezzata Kon-Tiki e, con cinque uomini di equipaggio oltre a
lui, salpa dal porto peruviano di Callao e, dopo cento giorni di viaggio,
approda in Polinesia, dimostrando che zattere di quel tipo possono eccome
compiere un simile viaggio.
Kon-Tiki è il resoconto di quel viaggio
avventuroso e un po’ folle, dalla preparazione negli Stati Uniti e in Ecuador
(qua vennero acquistati i tronchi in balsa per la zattera) fino al folcloristico
soggiorno presso le tribù polinesiane dopo lo sbarco, passando ovviamente
attraverso il nerbo centrale del racconto, il lungo viaggio lungo il Pacifico
su una zattera senza motore, sospinta solo da una vela oltre che dal soffio
costante e protettivo dell’aliseo.
Scritto in
un tono sobrio e leggero, Kon-Tiki è
quindi il racconto vero di un’avventura realmente avvenuta, divertente e
intrigante come lo sono i racconti di avventura. È tuttavia anche molto di più.
È una storia umana, la prova effettiva che la forza più potente dell’uomo sta
nelle sue idee, in ciò in cui crede, che nessuna impresa è veramente
infattibile se a monte vi sta la forte e motivata convinzione in ciò in cui si
sta facendo: l’apparente incoscienza di Heyerdahl sta nella sua certezza che
molti altri prima di lui avessero fatto quel lungo viaggio su una zattera; e
chi crede in ciò che fa può fare tutto, anche le imprese che sembrano più
insensate, quelle che tutti ritengono disperate.
È anche una
riflessione scientifica. Naturalmente, si parla molto dell’argomento teorico
centrale del testo, ossia la storia delle genti del Pacifico, con
approfondimenti molto chiari e interessanti sui movimenti umani che vi si sono
svolti in passato. Ma è molto presente anche un ragionamento più generale sulla
scienza contemporanea e soprattutto sulla comunità scientifica contemporanea,
che sarà pure post-galileiana ma che a conti fatti è spesso tutt’altro che
galileiana, dato che non disdegna di sedersi acriticamente su convinzioni
dogmatiche assolutamente infondate e, senza alcuna volontà di studiare altre
teorie fuori dal coro, considera stregone eretico chi propone ipotesi nuove,
anche se suffragate da dati attendibili.
Insomma, Kon-Tiki è un testo quanto mai ricco
che, a fronte di un successo che all’uscita fu clamoroso e senza confini (si
parla di traduzioni in sessantasette lingue!) è oggi un po’ dimenticato, almeno
in Italia. Onore quindi alla Robin edizioni, una piccola casa editrice che,
anche se con una traduzione a tratti un po’ incerta, ha l’indubbio merito di
aver riproposto al pubblico italiano un testo così interessante e al tempo
stesso avvincente.
Solo gli
elementi contavano. E gli elementi sembravano ignorare la piccola zattera,
forse la consideravano una parte della natura che non guastava l’armonia del
mare ma anzi vi si conformava, seguendo la corrente e le onde, come gli uccelli
marini e i pesci. Invece di essere nemici terrificanti e scagliarsi contro di
noi con la bava alla bocca, gli elementi erano diventati amici sicuri e fidati
su cui contare e che ci aiutavano a proseguire. Mentre il vento e le onde ci
urtavano e ci spingevano, la corrente rimaneva sotto di noi e ci portava
direttamente alla meta.
(pagg. 157-8)
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