Chi ha
incastrato Roger Rabbit (1988)
Titolo
originale: Who framed Roger Rabbit
Regia:
Robert Zemeckis
Con: Bob Hoskins, Christopher Lloyd
4 Premi Oscar 1989
(migliori effetti speciali, miglior montaggio, miglior montaggio sonoro, premio
speciale per la creazione e direzione delle animazioni a Richard Williams)
Voto:
9
In
un’epoca come la nostra in cui qualsiasi film-maker amatoriale sarebbe in grado
di rigirare Matrix con un semplice
smartphone (non è così, lo so, ma è per rendere l’idea), forse la visione di Chi ha incastrato Roger Rabbit stupisce
un po’ meno di quando uscì (sbancando i botteghini), o comunque stupisce coloro
che non sanno che il film è stato girato nel 1988. Non c’erano più le tecniche
ataviche del cinema muto, è chiaro, ma non c’era ancora stato l’avvento della
tecnologia digitale che di lì a poco avrebbe consentito agli effetti speciali
cinematografici di fare un salto in avanti sia sul piano della fattibilità
realizzativa sia su quello della verosimiglianza. I creatori di Roger Rabbit, mossi da un Robert
Zemeckis che passava un periodo particolarmente propizio in termini di cult
movie (realizzò il film tra il primo e il secondo episodio di una serie dal successo
planetario come Ritorno al futuro), riuscirono invece, con i mezzi dell’epoca,
a creare un film in cui la coesistenza tra attori in carne ed ossa e personaggi
creati coi cartoni animati fosse integrale, continua lungo tutto il film ed
assolutamente credibile. Certo, già negli anni Sessanta con Mary Poppins (ed anche con Pomi d’ottone e manici di scopa poco
tempo dopo) si era riusciti nell’impresa di far muovere attori “umani” all’interno
di un cartone animato, ma lì si trattava soltanto di una parte ridotta – per quanto
ammirabile – del film, mentre qua invece la “convivenza” copre l’intera durata
della pellicola, e non prevede solo attori che recitano in un contesto animato
ma anche – e per lo più – cartoni animati che “recitano” su un set reale.
Dal
punto dei mezzi impiegati per la sua realizzazione, quindi, Chi ha incastrato Roger Rabbit è
indiscutibilmente un capolavoro – quasi un miracolo – giustamente ricompensato
da quattro Oscar, tutti “tecnici” (effetti speciali, montaggio, montaggio
sonoro più un premio ad hoc per le animazioni). Nessun riconoscimento è
arrivato sul piano non tecnico, e forse è un peccato, perché il film non si
ferma alla gustosa carrellata di personaggi animati che si muovono con
disinvoltura accanto a veri attori. C’è dell’altro. Il “sincretismo”
umani-cartoni non è fine a se stesso: in un riuscito omaggio – o una ironica
parodia – a quella magnifica ma anche ambigua fabbrica dei sogni che è il
cinema mainstream americano (tra la Cartoonia del film e la Hollywood della
realtà c’è più di una parentela, sospese come sono entrambi tra la magia di un
mondo che produce una nobilissima arte e le meschinità che vi sono alle spalle,
tra produttori avidi e addetti ai lavori senza scrupoli), la storia dell’omicidio
a cartoni pone pure un sincretismo “di genere”. Assistiamo cioè ad un contesto
prettamente da film per bambini (con una pachidermica carrellata di personaggi
animati che manderebbe in visibilio qualsiasi spettatore compreso tra i tre e i
dieci anni) che si presta ad ospitare una vicenda dai contorni assolutamente
noir, quasi hard-boiled, a creare un contrasto spiazzante ma decisamente
godibile.
È certamente, quindi, un film sui generis, sospeso tra i due mondi
appena citati – il cartoon e il noir – e che di conseguenza finisce con l’essere
ibrido: tra il divertentissimo cortometraggio iniziale (indiscutibilmente
strepitoso) e la “violentissima” scena della scarpa di cartone animato sciolta
nella terribile “salamoia” (forse la scena più cruda di cui sia mai stato
protagonista un cartone, almeno nel cinema “di massa”, escludendo cioè
esperimenti più recenti e meno da blockbuster come Valzer con Bashir) c’è un contrasto forte a tal punto che quasi
meraviglia che queste due scene facciano parte dello stesso film. Ma è del
resto un po’ il gioco delle parti del cinema, quello stesso gioco delle parti
messo in luce dall’irresistibile femme fatale cartoon Jessica Rabbit in una
delle battute più famose del film: “io
non sono cattiva, è che mi disegnano così”. Insomma, l’ambiguità sta un po’
nelle cose, sta anche nella magia del cinema, e nelle bassezze del suo dietro
le quinte. Per questo alla fine Chi ha
incastrato Roger Rabbit ha in sé qualcosa di poetico e sognante, anche di
infantile se vogliamo (come il simpatico coniglio eponimo che non può fare
sempre alcune cose, ma solo quando “fa ridere”) ma pur sempre apprezzabile. È
un film di culto, e se lo merita!
Una delle scene più famose (e violente!) del film: la scarpetta di cartone animato viene sciolta in "salamoia" dall'inflessibile giudice Morton!
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