Edgar Allan
Poe, Le avventure di Gordon Pym, Bur, Milano, 2009, pagg. 238
Titolo originale: The
Narrative of A. Gordon Pym of Nantucket
Anno di prima pubblicazione: 1838
Traduzione di Maria Gallone
Voto: 10
È
significativo che uno dei romanzi più importanti di sempre – in assoluto uno
dei grandi classici che non possono mancare sugli scaffali di qualsiasi
libreria – sia stato scritto da un signore – e che signore! – che nella vita di
romanzi non ne scrisse altri. Scrisse racconti, soprattutto, ma anche poesie e
saggi, ma nessun altro romanzo: come se in questo unico testo lungo avesse
convogliato tutta l’energia solitamente messa al servizio della narratio brevis per sublimarla in un’opera
eccezionale.
Edgar Allan
Poe, appunto, maestro del racconto del terrore, trasferisce tutti gli
ingredienti soliti del suo terreno di azione abituale – che può essere
grossomodo definito come la paura –
per costruire un romanzo d’avventura con la A maiuscola: Le avventur di Gordon Pym. A quasi due secoli dalla sua prima
uscita, questo romanzo – un po’ come tutti i grandi classici – si conferma
quanto mai figlio del suo tempo e al tempo stesso in grado di non invecchiare
di mai, di restare avvincente anche per il lettore più moderno, abituato a ben
altre forme di fiction del terrore. Figlio del suo tempo, dicevamo, perché Gordon Pym nasce anche dalla
fascinazione per le esplorazioni antartiche che da fine Settecento in poi, con
Cook, tanto più spesso venivano organizzate e tanto più spesso affascinavano i
lettori dei giornali di mezzo mondo, stregati dalla malia esercitata dalla
scoperta di terre remote e sconosciute. Nasce anche dalla temperie
artistico-culturale del tempo, dal romanticismo in atto e dal decadentismo alle
porte, e dall’inquietudine che caratterizzava una personalità complessa e
problematica come quella dello scrittore statunitense. Ma avvince ancora oggi
perché, al di là delle molteplici sottoletture possibili del testo, il romanzo funziona ancora oggi.
Un’avventura
per mari, una classica e disperata avventura per mari, questo è prima di tutto Gordon Pym. Le vicende del protagonista
eponimo, nonché voce narrante del testo (anche se su questo una spiazzante
introduzione ed una sorprendente postfazione minano volutamente più di una
certezza), si dividono in due parti ben distinte: nella prima egli, imbarcatosi
clandestinamente su una nave proprio per spirito di avventura, si ritrova
naufrago su di essa non prima di averne vissute di tutti i colori (isolamento
solitario nella stiva, ammutinamenti, tempeste, derive, incontri con vascelli
fantasma, episodi di cannibalismo, e via dicendo...); nella seconda parte,
affronta un incredibile viaggio in un misterioso Antartico (allora ancora terra
pressoché ignota) a bordo della nave che lo salva dalla deriva al termine della
prima parte. Il finale è quanto di più moderno si possa trovare, un finale così
sospeso che uno scrittore di certo non alieno alla narrativa di avventura come
Jules Verne (con La sfinge dei ghiacci)
non poté fare a meno di scriverne un seguito... Del resto, lo stile preciso e
analitico di Poe, anche se metteva il suo realismo al servizio dei demoni della
propria surreale fantasia, non poteva non affascinare uno scrittore come Verne,
che dello stile didascalico ha fatto uno dei suoi marchi di fabbrica.
Al di là di
tutto questo, la magia del Gordon Pym non sta solo in questa trama pur così
finemente tessuta. Sta anche nella potenza di un personaggio, un depresso fin
quasi alla disperazione che viaggia per scappare da se stesso, in cerca forse
più di morte che di avventura, in un viaggio che sembra fuori di sé ma che
finisce col ritorcersi come un viaggio all’interno dei propri abissi, come un
Baudelaire che i propri paradisi artificiali se li costruisce seguendo le
tracce di un viaggio allucinante e allucinato (a proposito, Baudelaire fu uno
dei traduttori più famosi di questo romanzo). Insomma, uno di quei testi che
segnano la storia della letteratura di tutti i tempi. E non solo della
letteratura, ma anche dell’arte tutta e della cultura più in generale (i testi
di Poe furono tra l’altro oggetto di attenzione da parte della psicanalisi che
di lì a poco sarebbe nata): nel quadro qua sotto, “La riproduzione vietata”
dipinto da René Magritte nel 1937 (visibile oggi a Rotterdam), qual è il libro
che si vede appoggiato di fronte allo specchio? Risposta esatta: il nostro Gordon Pym.
Ed è pure
strano che la mia passione per la vita di mare divenisse più intensa quando me
ne descriveva i momenti più terribili, l’angoscia e la disperazione. I lati
sereni, gai, avevano su di me un effetto limitato. Mi attiravano le visioni di
naufragi e di fame, di morte o di prigionia tra genti barbare, di un’esistenza
trascinata nel dolore e nelle lacrime, su uno scoglio grigio, solitario, in
mezzo a un oceano irraggiungibile, ignoto.
(pag. 29)
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