venerdì 24 febbraio 2012

Nord


Nord (2009)
Titolo originale: Nord
Regia: Rune Denstad Langlo
Con: Anders Baasmo Christiansen
Voto: 8




Chi mi conosce sa che sono “malato di Norvegia”, specialmente della Norvegia settentrionale, e quando mi è capitato sotto mano questo film norvegese, per l’appunto intitolato Nord e ambientato nelle magnifiche regioni iperboree, ho capito subito che non potevo lasciarmelo scappare. Me lo sono guardato nei giorni in cui l’Italia è stata nella morsa del gelo, un film con così tanti ghiacci mi sembrava quello giusto da guardare mentre fuori dalla mia finestra (abituata a tutt’altri climi) imperversava una suggestiva nevicata… Andavo in cerca di belle vedute delle regioni settentrionali della Norvegia, montagne innevate e laghi ghiacciati, e sono stato accontentato. In realtà, con piacevole sorpresa, in questo film – concepito comunque da uno dei migliori scrittori norvegesi degli ultimi anni come Erlend Loe (e questo spiega molto) – ho trovato pure di più, del resto il fatto che a importarlo in Italia sia stata la Sacher di Nanni Moretti è un buon indizio di qualità.

Mentre tenta faticosamente di riemergere dagli abissi di una depressione fulminante a causa della quale ha perso tutto, Jomar, un trentenne dai modi spicci e con un rapporto un po’ troppo franco con l’alcol, scopre di avere un figlio di quattro anni che non ha mai conosciuto. A separarlo dal piccolo, che vive con la madre (la ex compagna di Jomar che lo lasciò durante la depressione) a Tamok, uno sperduto paesino nella Norvegia settentrionale, c’è un viaggio di mille chilometri in direzione nord attraverso il rigido clima artico di fine inverno. È una dura prova per Jomar che, sebbene ostaggio di paure e attacchi di panico, sorprendendo pure se stesso, si decide a partire. Sarà un “anti-depressives off road movie”, come lo definisce la locandina norvegese, in motoslitta, poi semplicemente sugli sci attraverso una terra dura e ostica, dove la solitudine è fatta di notti lunghe e surreali, a cui non sempre è facile resistere (e infatti il primo impatto che Jomar ha col nord è segnato da un accecamento dovuto all’abbagliante riflesso del sole sulla neve). È un viaggio accidentato e complesso in sé ma anche e soprattutto per quel che rappresenta, la rinascita di un individuo che deve ricostruire da capo la propria vita e per farlo deve superare le proprie paure (come quella per i tunnel), con l’elemento ricorrente del fuoco che sembra perseguitarlo ma anche spronarlo nella sua opera di rinnovamento dell’esistenza. Jomar è solo ma farà nel cammino incontri stravaganti, come una bambina fin troppo sveglia che non ne può più di vivere lontano dalla città, un ragazzo simpaticamente svitato terrorizzato dagli ananas (come se fosse facile trovare un ananas nell’inverno artico!), un vecchio eremita sami a cui è legata sicuramente la scena più forte e impressionante del film. Forse è questo il significato più profondo del suo viaggio: l’incontro. Non solo l’incontro più importante, quello col figlio, evocato da una bellissima scena finale, ma l’incontro casuale con le persone lungo la strada, sconosciuti con i quali ci si rimette in gioco, costretti ad abbandonare le rassicuranti abitudini di quando si sta a casa. La meta del viaggio diventa così, a suo modo, il viaggio stesso, in un continuo ritrovarsi perdendosi. Per la sola ragione del viaggio, viaggiare, diceva De André: questo, mi pare, sia il lato più affascinante di questo breve film, eccentrico e gradevole, a suo modo drammatico ma con punte di surreale comicità. Perché, come capisce Jomar a fine film, «La vita è un po’ difficile a volte. Quasi sempre. Ma non per sempre».

Una scena tipica di questo film: 
Anders Baasmo Christiansen scia circondato da paesaggi mozzafiato

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