venerdì 22 giugno 2012

La terrazza sul lago


La terrazza sul lago (2008)
Titolo originale: Lakeview Terrace
Regia: Neil LaBute
Con: Samuel Jackson, Patrick Wilson, Kerry Washington
Voto: 7




Il titolo originale di questo film, Lakeview Terrace, fa riferimento all’omonimo distretto suburbano di Los Angeles – la traduzione italiana, La terrazza sul lago, sembra fatta con Google Translator da quanto è totalmente sballata e fuori luogo. A Lakeview nel 1991 avvenne il celebre linciaggio ai danni del ragazzo di colore Rodney King – scomparso proprio in questi giorni, lo scorso 18 giugno – per mano di un gruppo di poliziotti, a seguito del quale Los Angeles fu sconvolta da violenti scontri tra bianchi e afroamericani, scontri che sono rimasti a lungo una dolorosa cicatrice nella memoria degli abitanti dell’intera California. Insomma, intitolare un film Lakeview Terrace non può che esplicitare l’intenzione degli autori di richiamare alla memoria quel triste episodio. E infatti anche di razzismo si parla in questa pellicola: una coppia mista (bianco lui, nera lei) si trasferisce a Lakeview, ma il vicino di casa, Abel Turner, un poliziotto nero interpretato da un superlativo Samuel Jackson, non gradisce i due nuovi dirimpettai e decide di sbarazzarsene. La costruzione pacata del film, dal ritmo non tirato via, consente al regista di tracciare piuttosto bene i personaggi, mentre, in un climax inesorabile, il poliziotto altero si “dedica” ai due vicini cominciando con piccoli “dispetti” e finendo con l’imbracciare una pistola. Ecco insomma, dopo quelli che pestarono King, un altro poliziotto razzista a Lakeview, ma a scompigliare le carte in tavola è il fatto che sia egli stesso un uomo afroamericano («Puoi ascoltare rap tutta la notte», dice ad un certo punto al nuovo vicino bianco, «ma non sarai mai un nero!») La rappresentazione spiazzante di un razzista nero non credo significhi un maldestro tentativo di assoluzione ex-post dei razzisti bianchi protagonisti del tremendo episodio di Lakeview (né di tutti gli altri), ma penso al contrario che sia un invito alla riflessione, alla rottura degli schemi, al rifiuto degli schemi manichei di buoni e cattivi che semplificano e distorcono una realtà ben più complessa, dove il razzismo sa annidarsi anche laddove sembrerebbe più difficile da rinvenire (ed in effetti, ahimè, i razzisti si trovano un po’ dovunque, non solo presso i gruppi “dominanti”). Il film trova ragione di esistere quindi non tanto nei temi proposti quanto nell’allestimento anomalo con cui vengono assemblati. Nella tormentata mente di Abel Turner non c’è allora solo il razzismo, vi si stratifica anche un vaniloquio di onnipotenza che trasforma la sua professionalità poliziesca in un’ossessione di controllo assoluto, che coinvolge anche la sua stessa vita familiare. Alla complessità del personaggio, fanno da contraltare le normali vicende domestiche della coppia di giovani sposi, la cui quotidianità quasi banale va ad infrangersi con la straordinarietà del dramma che sta per abbattersi su di loro a causa dell’indisciplinato vicino. A simboleggiare l’arrivo del punto di massima tensione c’è poi, presente in tutto il film sin dai titoli di testa, il grande incendio alle porte di Los Angeles, il cui incalzare lo avvicina sempre di più alle case dei protagonisti.

Lakeview Terrace è in definitiva un buon lavoro, dalla trama semplice, quasi stereotipica, ma, almeno per tre quarti di film, costruita bene, senza indulgere a facilonerie roboanti, anzi sottile e dosato. Il problema sta però nel “crollo” finale, nel senso che lo scioglimento, violento in modo quanto mai gratuito, è assolutamente tirato via, e restituisce il film alla categoria delle “americanate muscolari” dalla quale era riuscito fino a lì a tenersi abilmente distante. Tutte quelle semplificazioni e banalizzazioni stereotipe che il film fin lì era riuscito ad evitare vengono fuori tutt’a un tratto, e con gli interessi, nel finale. È veramente, a mio parere, un finale “patacca” che rende estremamente complicato dare un giudizio complessivo ad un film che fino a quel punto risulta davvero godibile e interessante, maneggiando con gran disinvoltura temi dalla trattazione mai semplice. Direi che merita comunque una visione.

Patrick Wilson e Samuel Jackson in una scena del film

PS: Merita qualche parola “extra” la figura di Rodney King, il ragazzo di colore linciato nel 1991 dai poliziotti bianchi. Il pestaggio fu ripreso da un cittadino, e il filmato venne usato nel processo del 1992 in cui una giuria di soli bianchi assolse i poliziotti. Fu questa decisione che fece esplodere la rabbia degli afroamericani, che devastarono la città per giorni, con un bilancio finale di 55 morti. Nel 1993 un secondo processo condannò i poliziotti e sancì per King un risarcimento di quasi quattro milioni di dollari. Egli in tutto questo divenne a furor di popolo una sorta di paladino dei diritti umani, soltanto che era un ragazzo molto semplice abituato ad inciampare continuamente (anche dopo il ’93) in guai con la giustizia, uno che non aveva certo il physique du rôle dell’eroe: «Le persone mi guardano come se fossi Malcom X o Martin Luther King o Rosa Parks», ha detto in aprile in un’intervista al Los Angeles Times, «Avrei dovuto vivere vite come quelle e stare lontano dai guai e non fare questo o quello. Ma è difficile essere all’altezza delle aspettative della gente». Ora che, a soli 46 anni, è morto (è stato trovato annegato nella piscina di casa), credo che per ricordare questo “eroe suo malgrado” si possano citare le parole che disse in una conferenza stampa del 1992 quando, durante i giorni degli scontri di Los Angeles, intervenne per cercare di placare le acque. Parole così semplici che tutto sommato possono diventare pure un inno alla nonviolenza: «Non possiamo andare tutti d’accordo?»

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