venerdì 8 giugno 2012

Salvate il soldato Ryan


Salvate il soldato Ryan (1998)
Titolo originale: Saving Private Ryan
Regia: Steven Spielberg
Con: Tom Hanks, Edward Burns, Tom Sizemore, Matt Damon
5 Premi Oscar 1999 (Migliore regia – Steven Spielberg; Miglior fotografia – Janusz Kaminski; Miglior montaggio – Michael Kahn; Miglior sonoro – Gary Rydstrom, Gary Summers, Andy Nelson, Ron Judkins; Miglior montaggio sonoro – Gary Rydstrom, Richard Hymns), 2 Golden Globe 1999 (Miglior film drammatico; Migliore regia – Steven Spielberg)
Voto: 8,5




Esiste un’estetica della guerra, ed è quella – cui attingono a piene mani i molti film bellici prodotti nella storia del cinema, ma anche romanzi, dipinti e altri modi di espressione, tra cui pure forme “minori” di visual-art come i videogiochi – della rappresentazione più o meno fedele del campo di battaglia nella prima persona dei combattenti che lì si giocano non solo la propria esistenza ma anche il destino della nazione per la quale guerreggiano. Il pluripremiato Salvate il soldato Ryan è in tal senso, non solo negli sconvolgenti 25 minuti dedicati allo sbarco in Normandia, molto interessante e coinvolgente. La sua trama non è poi di grandissimo spessore: dato che gli sono morti i tre fratelli in battaglia, si decide di salvare l’ultimo Ryan in vita affidando ad un gruppo di soldati la specifica missione di andare a prenderlo e rispedirlo a casa; soltanto che il soldato Ryan è stato catapultato prima dello sbarco in Normandia oltre le linee tedesche, ed andarlo a recuperare in territorio non ancora liberato non sarà un’impresa semplice. Da questo semplice spunto – basato su una realtà storica alterata a fini narrativi (il “Sole Survivor Policy”, la legge che “salvava” i soldati che avevano perso più fratelli esisteva davvero, però non si facevano missioni apposite per andare a ripescarli, visto che sarebbe stato poco conveniente rischiare una decina di uomini per salvarne uno solo) – il film trova in verità il suo vero motivo di essere sugli episodi, avvincenti e toccanti, vissuti dal gruppo di soldati, nonché sull’impeccabile messa in scena degli eventi. Anche se sono certo che Spielberg si sia avvalso di grandi specialisti per una ricostruzione il più fedele possibile alla realtà storica, per quel che ne so (non ho le competenze adeguate per dirlo) è possibile (anche se improbabile) che nel mastodontico allestimento scenico qualche strafalcione anacronistico ci sia, come qualche caschetto che i militari in realtà non indossavano o qualche arma che in verità è stata costruita solo dopo la fine della guerra. Se anche così fosse, pazienza: l’estetica della guerra di cui parlavo in precedenza sta soprattutto nel far vivere da un punto di vista interno, visceralmente interno, la violenza della guerra, farla sentire mentre brucia a piena forza sulla pelle dei personaggi e, di riflesso, degli spettatori.

Certamente, vivere in soggettiva un evento così drammatico – e ahimè realmente accaduto – non è solo estetica della guerra, ma anche etica della guerra. L’etica che, diventando retorica, si fa epos dei combattenti americani chiamati al sacrificio estremo per il bene dell’umanità – fermo restando che se c’è stato un intervento militare nella storia che realmente, e non solo per propaganda, è stato fatto per salvare il mondo dalla tirannia, questo è stato proprio quello americano nella Seconda Guerra Mondiale, in particolare, ma non solo, proprio nel pericolosissimo sbarco in Normandia – a me interessa poco, ma riconosco che sia un passaggio inevitabile in questo genere di film (e Spielberg poi non ha certo gli slanci antimilitaristi che dànno spessore ad altre pellicole, penso ad esempio a Full Metal Jacket di Kubrick). L’etica della guerra per come la intendo io è piuttosto quella che si prende il compito di porre l’accento sul fatto che ogni singolo soldato che ha combattuto, ogni singolo civile che è stato coinvolto dalle battaglie, ogni essere umano che insomma si è trovato lì in mezzo, tutti sono portatori di un racconto, di una storia, di una vita, su cui la guerra si è indelebilmente abbattuta. Chi è tornato a casa, ha portato nell’anima le cicatrice della violenza che ha vissuto. Chi è caduto in battaglia, ha visto recidere un’esistenza che sarebbe potuta – dovuta – diventare una vita, una famiglia, una storia da raccontare alle generazioni a venire. È questa la vera tragedia della guerra: la morte come se nulla fosse. Ecco a mio parere il vero interesse di un film come questo: trascendere il valore storico degli episodi raccontati e calarli nella loro dimensione più intima e autentica di una tragedia umana. Una tragedia umana che sarebbe l’ora di non replicare mai più.

Tom Hanks in una delle fortissime scene in cui il film racconta lo sbarco in Normandia

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