venerdì 10 agosto 2012

Una notte da leoni


Una notte da leoni (2009)
Titolo originale: The Hangover
Regia: Todd Phillips
Con: Bradley Cooper, Zach Galifianakis, Ed Helms
1 Golden Globe 2010 al miglior film commedia o musicale
Voto: 7,5




Se il cinema non è solo arte e cultura, ma anche industria e mercato, l’esistenza di un mercato di blockbuster costituito di pellicole per lo più “pop” non può e non deve scandalizzare, a patto che ovviamente l’industria cinematografica sappia gestire saggiamente la propria produzione, cercando da un lato di non limitarsi esclusivamente a film commerciali dagli incassi elevati ma dai contenuti esili, da un lato di provare a fare buoni lavori anche durante la realizzazione di lavori “per il grande pubblico”. A proposito di quest’ultima istanza, possiamo citare come campione esemplare Una notte da leoni, prodotto americano per eccellenza, commedia che non va mai troppo per il sottile, ma che pure rivela una cura produttiva, specialmente (ma non solo) in fase di scrittura, che, se per un verso poteva anche esser degna di un lavoro con ambizioni maggiori, d’altra parte nobilita senz’altro questo film.

Quattro amici a Las Vegas festeggiano l’addio al celibato di uno di loro, e chiaramente ne succedono di tutti i colori, anzi di più: fin qui è tutto molto standard, sin dalla scelta dei personaggi (ognuno a rappresentare un “tipo”, dal bravo ragazzo frenato che nasconde un insospettabile temperamento spericolato al grassoccio fuori di testa imprevedibile e un po’ tarato) fino agli episodi, tra l’etilico e il boccaccesco, di cui sono protagonisti. Come abbiamo visto però parlando la settimana passata del caleidoscopico romanzo di Jonathan Coe La casa del sonno, le storie non basta raccontarle, è importante anche decidere come raccontarle. Il punto di forza di Una notte da leoni sta allora per lo più in una mirabile ellissi cui assistiamo quando il film è iniziato da poco: la notte brava dei quattro ragazzi a Las Vegas non viene raccontata “in diretta”, bensì viene letteralmente saltata dalla narrazione, con uno stacco che, dal brindisi con cui i quattro iniziano la serata, porta direttamente alla mattina successiva. Cos’è successo nel mezzo? Qui sta il bello: qualcosa dev’essere successo, e di molto strano, se è vero che, tra l’altro, uno dei ragazzi ha un dente in meno, nel bagno della suite dell’albergo in cui alloggiano c’è una tigre e, soprattutto, non si trova più il promesso sposo; tuttavia nessuno dei ragazzi ricorda nulla della notte appena trascorsa…

Questo espediente per così dire anacronico dà profondità e mordente al film, perché esso non è più la storia – da poco, se vogliamo – di una notte appunto da leoni di quattro giovani borghesi americani, ma è la ricostruzione ex post della vicenda da parte dei tre ragazzi che, nella lotta contro il tempo per ritrovare lo sposo prima che si debba rinviare il matrimonio, devono ad ogni costo recuperare la memoria di quel che è successo nottetempo. Una vera e propria quête per ritrovare ciò che si è stati: si potrebbe pensare a qualche intento “alto” (la riscoperta della memoria come condizione imprescindibile dell’auto-comprensione dell’io, in un percorso che dallo sbandamento di una notte fuori di testa porta alla ricomposizione di un rassicurante status quo insito nel ripristino dell’ordine borghese suggellato dal matrimonio finale), ma forse non ne vale la pena, visto che probabilmente è solo un ottimo stratagemma strutturale per arricchire il film, sganciarlo dai canoni della commedia tutta cliché e ragazze scollacciate – senza comunque rinnegarli – per avvicinarlo ad ambienti quasi da thriller (qualche critico ha parlato di questo film come di un “thriller demenziale” e mi pare un’ottima definizione). Al di là di questo, comunque, il film per il resto fila via bene, non mancano momenti un po’ sopra le righe ma s’è visto di peggio, non avrà grandi contenuti ma il suo intento di far ridere lo raggiunge in pieno senza attingere troppo dal serbatoio delle volgarità disgustose della commediaccia americana, è girato e recitato piuttosto bene (c’è pure uno spiritoso cameo di Mike Tyson nella parte di se stesso!), e in generale non gli manca il ritmo, ha il tempo giusto che gli consente di reggersi in piedi senza tentennamenti dall’inizio alla fine. Niente di clamoroso, ma più che dignitoso per il genere che rappresenta. Come dicevo all’inizio: niente contro i film “commerciali”, basta che non siano una scusa per fare film brutti; quando un film “commerciale” è comunque un buon film, ne è quindi consigliabile la visione, per regalarsi senza problemi un’ora e mezzo di spensieratezza e risate.

Un inedito Mike Tyson appare nella parte di se stesso in una divertente scena del film

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