venerdì 25 luglio 2014

Judith Schalansky - Atlante delle isole remote

Judith Schalansky, Atlante delle isole remote, Bompiani, Milano, 2013, pagg. 143
Titolo originale: Atlas der abgelegenen Inseln
Anno di prima pubblicazione: 2009
Traduzione di Francesca Gabelli
Voto: 9



Non può non venire in mente l’Atlante di Jorge Luis Borges, richiamato già dal titolo, (ma anche le precedenti Città invisibili di uno degli epigoni più illustri dell’argentino, Italo Calvino), ma l’ottima idea della giovane scrittrice-designer tedesca Judith Schalansky è molto meno metafisica e molto più “estetica”, anche a livello grafico: un atlante, con tanto di dettagliate cartine, delle cinquanta isole più sperdute del mondo, ad ognuna delle quali è collegato un breve racconto. L’idea di partenza, dicevamo, è ottima, ed ha un fascino irresistibile: un catalogo delle isole più remote – le isole di per sé hanno un fascino particolare, quelle remote poi sono davvero irresistibili – che raccolga i posti dove verosimilmente nessuno di noi, a cominciare dall’Autrice che lo specifica sin dal sottotitolo (“Cinquanta isole dove non sono mai stata e mai andrò”), metterà mai piede. Com’è il mondo alla fine del mondo, in luoghi in cui la vita umana è profondamente diversa da come la conosciamo o, addirittura, nemmeno si è insediata, tanto proibitive sono le condizioni di quei luoghi? Il libro della Schalansky si presenta allora come un piccolo scrigno di terre misteriose e lontane, vere ma così incredibili da sembrare partorite dalla fantasia di un artista.

La fantasia dell’artista, del resto, ha la sua voce in capitolo: i racconti che la Schalansky collega alle isole sono di varia natura, alcuni parlano proprio dell’isola in sé, magari con un tocco metafisico proprio alla Borges, altri raccontano vicende ad esse collegate, come quelle dei primi esploratori che visitarono le isole o delle persone che là vissero situazioni particolari (si parla ad esempio di Amelia Earhart, la prima donna a trasvolare l’Atlantico in solitaria e che si inabissò a largo dell’isola Howland, pag. 76, o della famosa battaglia che nel ’44 ebbe luogo nella fino ad allora sconosciuta Iwo Jima, pag. 112). Insomma, anche l’aspetto strettamente narrativo di quella che può comunque essere definita come una raccolta di racconti è valido e permette una lettura piacevole di questo libro; come detto, però, il fascino di queste pagine non si ferma alla lettura ma si estende anche alla visione della parte grafica, al godimento di un prodotto editoriale curato e impeccabile in ogni suo aspetto.

Quando, dopo cinquanta giorni, avvistano finalmente la terra, non scoprono un fondale dove gettare l’ancora; le scialuppe che sbarcano sulle isole non trovano niente che possa placare la fame o la sete. Le chiamano “isole della Delusione” e proseguono il loro viaggio. Lo scrivano di bordo, Antonio Pigafetta, annota: “Sono convinto che un tale viaggio non sarà intrapreso mai più.”
(pag. 70)

Nessun commento:

Posta un commento