Johan
Harstad, Che ne è stato di te, Buzz Aldrin?, Iperborea, Milano, 2008,
pagg. 457
Titolo originale: Buzz
Aldrin, hvor ble det av deg i alt mylderet?
Anno di prima pubblicazione: 2005
Traduzione di Maria Valeria D’Avino
Voto: 9,5
Buzz Aldrin
è il secondo uomo ad aver messo piede sulla Luna, quello di cui non si ricorda
mai nessuno. Mattias, il protagonista di questo sorprendente romanzo norvegese,
trova in lui il modello di persona che non vuole le luci della ribalta, ma
restare appunto un numero due, una ruota dell’ingranaggio globale che lavora
dietro le quinte. La storia di Mattias, che da Stavanger finisce quasi per caso
alle Far Oer dopo aver perso fidanzata e lavoro, è quindi anzitutto la storia
di una fuga, la fuga dal centro dell’attenzione, la fuga dalla vita degli
altri. C’è comunque molto altro, in un romanzo la cui capacità di introspezione
psicologica fa sembrare Johan Harstad un veterano della letteratura
esistenzialista, per quanto abbia scritto questo testo a soli 25 anni. C’è la
fragilità dell’uomo, e della sua psiche, affrontata soprattutto nella lunga
sequenza di racconto che si svolge in una sorta di casa-famiglia che accoglie
chi ha per chi ha problemi psichici – e Mattias ne ha, perché a volte, anche
senza impazzire, le persone è come se si guastassero e inceppassero, e non è
facile capire perché e come uscirne, ma è così. Significativa in tal senso la
paura dell’acqua, che accomuna Mattias all’anonimo protagonista di Tutto sulla Finlandia, ottimo romanzo di
un altro norvegese, Erlend Loe, che, per quanto sia intrinsecamente più leggero
e divertente, ha molti punti in comune con Harstad (nel romanzo di Loe l’acqua
spaventa per il suo fluire, in quello di Harstad per il suo sommergere le cose).
C’è poi la grande paura dei legami, perché l’amore e l’affetto legano alle
persone, che magari poi scappano o peggio ancora muoiono, e allora c’è un “prezzo
da pagare” per il bene che si vuole agli altri. Ma c’è anche la consapevolezza
che la salvezza sta solo negli altri, ed allora ecco che la fuga nelle Far Oer –
paragonate alla Luna non solo in omaggio a Buzz Aldrin, ma anche per il loro
paesaggio e per la loro scarsa vita mondana – non è più una fuga intergalattica
dove si perde tutto ciò che si ha, ma un viaggio in una Luna ariostesca dove si
ritrovano le cose che si erano perse – l’amicizia, l’amore, i legami, la
fiducia in se stessi. Perché essere invisibili non si può, capisce Mattias
pensando a quante conseguenze (anche e non solo a tutti i legami instaurati nel
periodo) ha avuto sugli altri quella fuga alle Far Oer dove, nel tentativo di
diventare invisibile, è diventato quanto mai visibile, e presente agli altri.
C’è in
questo romanzo qualcosa di Into The Wild,
l’ottimo film di Sean Penn (tra l’altro inspirato ad una storia vera), ma per
fortuna con chiusura decisamente meno tragica. Anzi, dopo avere raccontato la
vicenda e sondato la mente umana in uno stile magistrale dove dramma e ironia si legano in una sintesi di
spettacolare chiarezza e efficacia, Harstad conclude con un finale
moderatamente ottimista, nel quale Mattias impara a convivere con la propria
malattia mentale e a relazionarsi serenamente agli altri. Si chiude con un’altra
fuga che però è di fatto una non-fuga, visto che non è più la resa del
solitario che scappa, ma il sogno di un gruppo di amici di raggiungere i
Caraibi in barca. Si realizza così, in una sorta di correlativo oggettivo
rappresentato dal viaggio verso i tropici, la sintesi nella coscienza del
protagonista delle varie pulsioni opposte che lo animano – l’amore per gli
altri e la voglia di sparire: via dalla pazza folla, sì, ma con al seguito
persone cui volere bene.
Dopo gli
attentati della scorsa settimana, si è parlato molto della Norvegia, e dei
norvegesi, talvolta forse senza molta cognizione di causa. L’ho fatto anch’io
sul mio blog di attualità politica, nel quale ho citato proprio questo romanzo
come uno dei più adatti a raccontare significativamente la civiltà norvegese, i
suoi indiscutibili pregi, ma anche i suoi difetti, e le conseguenze che una
società così avanzata può avere su chi non se ne sente degno, o addirittura
rifiutato. Ho citato a tal proposito anche Doppler
del già nominato Loe, su cui magari torneremo anche in futuro. Chi volesse
conoscere meglio la Norvegia può farsene un’idea leggendo romanzi come questi,
che sono tra l’altro assolutamente pregevoli. In particolare ritengo questo Che ne è stato di te, Buzz Aldrin?,
splendido elogio dei “numeri due” che fuggono da un mondo in cui apparire – e apparire
dei “numeri uno” – è tutto, uno dei migliori romanzi degli ultimi anni.
Era andata a
letto con lui per più di un anno, lui era stato con lei, dentro di lei, forse
perfino a casa nostra, nelle nostre stanze, e io non sapevo chi fosse. Un
messaggero in bicicletta, pensai, ambasciator non porta pena, pensai, si chiama
Mats, aveva detto Helle, parlava di Mats, un drago della bici, sicuro, e Mats
era più aperto, Mats usciva di più, Mats non aveva paura del mondo, Mats voleva
essere visibile per il mondo e lei era tanto dispiaciuta, così piccola su
quella montagna, il naso gocciolante e la giacca a vento troppo grande prestata
da suo padre, le mani piccole e io l’amavo più di quanto avrei dovuto. Cercai
di mobilitare un sentimento qualunque contro Mats ma non ci riuscii, perché non
lo conoscevo e magari era la persona più bella del mondo, chi poteva dirlo.
Helle piangeva. Avrei voluto abbracciarla, stringerla, ma non mi era più
consentito, perché lei ha pronunciato la controparola d’ordine, le porte si
sono chiuse e non ci sono altre stazioni su quella linea. Dovevo scendere qui,
ora, sulla cima della Norvegia, tra le montagne più belle del mondo, smussate e
levigate come molari enormi e tondeggianti da quel ghiaccio che ora
imbottigliavano e ci rivendevano, acqua di fonte in bottiglia per il popolo con
l’acqua corrente più pura del mondo. E la mia vita messa infine a livello, l’equilibrio
si scioglieva sotto il sole di giugno su quella montagna e io pensavo a un
programma che avevo visto la settimana prima alla tv svedese:
Un atteggiamento ottimista nei confronti della vita è
oggi più importante che mai.
(pag. 106)
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