Tornando
a casa per Natale (2010)
Titolo originale: Hjem
til jul
Regia:
Bent Hamer
Con:
Trond Fausa Aurvåg, Fridtjov Såheim, Joachim Calmeyer, Cecile Mosli, Tomas
Norström
Voto:
8
Cos’è
il Natale? E, soprattutto, cos’è lo spirito del Natale? Non di rado l’arte
(basti pensare al celeberrimo Canto di
Natale di Dickens) si è interrogata sulla “psicologia del 25 dicembre”, su
cosa sia la “magia” del Natale – con la famosa leggenda del “siamo tutti più
buoni”! – e quanto ci sia di vero, e di veramente sentito, in essa. Il film
norvegese del 2010 Tornando a casa per
Natale – liberamente ispirato a Bare
mjuke pakker under treet (traducibile con “Solo pacchetti morbidi sotto
l’albero”), raccolta di racconti di Levi Henriksen, uno scrittore norvegese mai
tradotto in italiano – irrompe sull’argomento capovolgendo l’usuale
impostazione dei film natalizi: non più, come spesso avviene, una favola sui
buoni sentimenti, ma un’anti-favola realistica e all’apparenza cinica che
indaghi la questione senza preconcetti. Se l’iconografia tradizionale della
notte di Natale prevede la classica cena (o il pranzo) con tutta la famiglia
riunita e sorridente attorno ad un grande tavolo a mangiare prelibatezze e
scambiarsi regali e sorrisi affettuosi, il regista Bent Hamer, balzato agli
onori delle cronache cinematografiche grazie al successo del sorprendente Kitchen Stories, ribalta il punto di
vista proponendo un caleidoscopio di storie tutte diverse e irrelate, ma tutte
ambientate la notte di Natale e con un punto in comune ricorrente: nessuno dei
protagonisti delle vicende narrate riesce a trascorrere una notte di Natale
“normale”. I motivi per cui ciò accade sono molteplici, dai più fatui ai più
drammatici. E così, molte delle cose che non ci si aspetterebbe di trovare in un
film sul Natale, dagli adulteri alle minacce di morte, sono messe in scena in
modo impietoso da Bent Hamer.
Per
un regista, l’argomento è di certo insidioso: un film che parla del Natale
rischia giocoforza di diventare retorico se non stucchevole, di lasciarsi
andare a manierismi nel celebrare la forza dei buoni sentimenti tali da far
schizzare alle stelle il tasso di glucosio della pellicola. Bent Hamer, come si
è appena accennato, punta invece nella direzione opposta, sia per il messaggio
che intende lanciare sia per la sintassi filmica con la quale costruisce il
proprio lavoro, ed è bravissimo a tessere un film asciutto e composto che, al
di là di qualche inevitabile momento un po’ più “zuccherino” (ma anche
commovente), non incappa quasi in mai in sbavature o facilonerie – del resto,
Hamer è un cineasta di altissimo livello, che in tutti i suoi lavori ha
mostrato di saper costruire film dal ritmo lento senza troppi dialoghi e
curatissimi nella costruzione delle immagini,
Non
per questo, si può definire questo come un film contro il Natale. Anzi: è proprio nella non realizzazione del
Natale “normale” che i personaggi riescono, o almeno provano, a trovare la
“scintilla” che accende questa notte, a conferirle quel qualcosa di magico che
la rende incantata tanto quanto la splendida aurora boreale che chiude il film.
Il punto di vista della riflessione di Hamer sul Natale è assolutamente laico,
ma l’impostazione di rigida moralità (che non si fa mai viscido moralismo) ha,
in linea con la tradizione luterana della Norvegia, qualcosa di protestante.
Perché il Natale, sembra suggerire Bent Hamer, non vuol dire nulla se viene
vissuto solo come un vacuo – e consumistico – conformarsi ad un rituale
perbenistico e ipocrita che, dietro una coltre di paternalistica e ostentata
benevolenza, nulla scalfisce dell’egoismo e della prepotenza che incontriamo
nella vita di tutti i giorni. Se al contrario diventa occasione per un’adesione
umana e sincera ad un senso di fratellanza e solidarietà nei confronti del
prossimo, allora il Natale può davvero sancire un momento importante della
nostra vita e lasciarci in eredità preziosi frutti. Questi frutti, però,
dovrebbero sopravvivere anche durante tutti gli altri giorni dell’anno.
L'aurora boreale della scena finale del film
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