venerdì 29 luglio 2011

Johan Harstad - Che ne è stato di te, Buzz Aldrin?


Johan Harstad, Che ne è stato di te, Buzz Aldrin?, Iperborea, Milano, 2008, pagg. 457
Titolo originale: Buzz Aldrin, hvor ble det av deg i alt mylderet?
Anno di prima pubblicazione: 2005
Traduzione di Maria Valeria D’Avino
Voto: 9,5

Buzz Aldrin è il secondo uomo ad aver messo piede sulla Luna, quello di cui non si ricorda mai nessuno. Mattias, il protagonista di questo sorprendente romanzo norvegese, trova in lui il modello di persona che non vuole le luci della ribalta, ma restare appunto un numero due, una ruota dell’ingranaggio globale che lavora dietro le quinte. La storia di Mattias, che da Stavanger finisce quasi per caso alle Far Oer dopo aver perso fidanzata e lavoro, è quindi anzitutto la storia di una fuga, la fuga dal centro dell’attenzione, la fuga dalla vita degli altri. C’è comunque molto altro, in un romanzo la cui capacità di introspezione psicologica fa sembrare Johan Harstad un veterano della letteratura esistenzialista, per quanto abbia scritto questo testo a soli 25 anni. C’è la fragilità dell’uomo, e della sua psiche, affrontata soprattutto nella lunga sequenza di racconto che si svolge in una sorta di casa-famiglia che accoglie chi ha per chi ha problemi psichici – e Mattias ne ha, perché a volte, anche senza impazzire, le persone è come se si guastassero e inceppassero, e non è facile capire perché e come uscirne, ma è così. Significativa in tal senso la paura dell’acqua, che accomuna Mattias all’anonimo protagonista di Tutto sulla Finlandia, ottimo romanzo di un altro norvegese, Erlend Loe, che, per quanto sia intrinsecamente più leggero e divertente, ha molti punti in comune con Harstad (nel romanzo di Loe l’acqua spaventa per il suo fluire, in quello di Harstad per il suo sommergere le cose). C’è poi la grande paura dei legami, perché l’amore e l’affetto legano alle persone, che magari poi scappano o peggio ancora muoiono, e allora c’è un “prezzo da pagare” per il bene che si vuole agli altri. Ma c’è anche la consapevolezza che la salvezza sta solo negli altri, ed allora ecco che la fuga nelle Far Oer – paragonate alla Luna non solo in omaggio a Buzz Aldrin, ma anche per il loro paesaggio e per la loro scarsa vita mondana – non è più una fuga intergalattica dove si perde tutto ciò che si ha, ma un viaggio in una Luna ariostesca dove si ritrovano le cose che si erano perse – l’amicizia, l’amore, i legami, la fiducia in se stessi. Perché essere invisibili non si può, capisce Mattias pensando a quante conseguenze (anche e non solo a tutti i legami instaurati nel periodo) ha avuto sugli altri quella fuga alle Far Oer dove, nel tentativo di diventare invisibile, è diventato quanto mai visibile, e presente agli altri.

C’è in questo romanzo qualcosa di Into The Wild, l’ottimo film di Sean Penn (tra l’altro inspirato ad una storia vera), ma per fortuna con chiusura decisamente meno tragica. Anzi, dopo avere raccontato la vicenda e sondato la mente umana in uno stile magistrale dove dramma  e ironia si legano in una sintesi di spettacolare chiarezza e efficacia, Harstad conclude con un finale moderatamente ottimista, nel quale Mattias impara a convivere con la propria malattia mentale e a relazionarsi serenamente agli altri. Si chiude con un’altra fuga che però è di fatto una non-fuga, visto che non è più la resa del solitario che scappa, ma il sogno di un gruppo di amici di raggiungere i Caraibi in barca. Si realizza così, in una sorta di correlativo oggettivo rappresentato dal viaggio verso i tropici, la sintesi nella coscienza del protagonista delle varie pulsioni opposte che lo animano – l’amore per gli altri e la voglia di sparire: via dalla pazza folla, sì, ma con al seguito persone cui volere bene.

Dopo gli attentati della scorsa settimana, si è parlato molto della Norvegia, e dei norvegesi, talvolta forse senza molta cognizione di causa. L’ho fatto anch’io sul mio blog di attualità politica, nel quale ho citato proprio questo romanzo come uno dei più adatti a raccontare significativamente la civiltà norvegese, i suoi indiscutibili pregi, ma anche i suoi difetti, e le conseguenze che una società così avanzata può avere su chi non se ne sente degno, o addirittura rifiutato. Ho citato a tal proposito anche Doppler del già nominato Loe, su cui magari torneremo anche in futuro. Chi volesse conoscere meglio la Norvegia può farsene un’idea leggendo romanzi come questi, che sono tra l’altro assolutamente pregevoli. In particolare ritengo questo Che ne è stato di te, Buzz Aldrin?, splendido elogio dei “numeri due” che fuggono da un mondo in cui apparire – e apparire dei “numeri uno” – è tutto, uno dei migliori romanzi degli ultimi anni.

Era andata a letto con lui per più di un anno, lui era stato con lei, dentro di lei, forse perfino a casa nostra, nelle nostre stanze, e io non sapevo chi fosse. Un messaggero in bicicletta, pensai, ambasciator non porta pena, pensai, si chiama Mats, aveva detto Helle, parlava di Mats, un drago della bici, sicuro, e Mats era più aperto, Mats usciva di più, Mats non aveva paura del mondo, Mats voleva essere visibile per il mondo e lei era tanto dispiaciuta, così piccola su quella montagna, il naso gocciolante e la giacca a vento troppo grande prestata da suo padre, le mani piccole e io l’amavo più di quanto avrei dovuto. Cercai di mobilitare un sentimento qualunque contro Mats ma non ci riuscii, perché non lo conoscevo e magari era la persona più bella del mondo, chi poteva dirlo. Helle piangeva. Avrei voluto abbracciarla, stringerla, ma non mi era più consentito, perché lei ha pronunciato la controparola d’ordine, le porte si sono chiuse e non ci sono altre stazioni su quella linea. Dovevo scendere qui, ora, sulla cima della Norvegia, tra le montagne più belle del mondo, smussate e levigate come molari enormi e tondeggianti da quel ghiaccio che ora imbottigliavano e ci rivendevano, acqua di fonte in bottiglia per il popolo con l’acqua corrente più pura del mondo. E la mia vita messa infine a livello, l’equilibrio si scioglieva sotto il sole di giugno su quella montagna e io pensavo a un programma che avevo visto la settimana prima alla tv svedese:
Un atteggiamento ottimista nei confronti della vita è oggi più importante che mai.
(pag. 106)

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