venerdì 5 luglio 2013

L’appartamento spagnolo

L’appartamento spagnolo (2002)
Titolo originale: L’auberge espagnole
Regia: Cédric Klapisch
Con: Romain Duris, Judith Godrèche, Audrey Tautou, Cécile De France
Voto: 7



Avevamo un sogno, ed ora non lo troviamo più. Sono passati dieci anni dall’uscita di L’appartamento spagnolo, che all’epoca venne accolto pure con un qualche entusiasmo, ma sembra trascorso un secolo. Quando ancora per i giovani il futuro era qualcosa da addentare con voluttà, non una minaccia incombente come spada di Damocle, quando l’Unione Europea era ancora il sogno di un sovra-stato multietnico nel quale costruire un nuovo millennio di pace, e non il rancoroso ring dove gli stati litigano per mezzo punto di pil, il film del francese Cédric Klapisch arrivò con tempismo perfetto a raccontare quella flebile ondata di speranza che la crisi economica ha travolto nel giro di pochi anni.

Per raccontare l’entusiasmo giovanile per un’Europa che sembrava andare assumendo la fisionomia di un’esuberante maxistato iperculturale e poliglotto, il contesto da mettere in scena non poteva che essere che uno: una casa piena di studenti fuori sede iscritti al progetto Erasmus. E la città in cui ambientare il tutto non poteva che essere la capitale morale dei giovani europei: Barcellona (tra l’altro auberge espagnole, il titolo francese, è un’espressione idiomatica transalpina che indica un posto particolarmente disordinato, ma la finezza è indirizzata soprattutto agli spettatori francofoni). Il film deve la sua riuscita grazie alla gradevolezza con cui questa ambientazione è messa in scena. È un lavoro assolutamente claudicante nel quale in realtà non succede poi granché (un ragazzo francese va a vivere un anno a Barcellona, dove vive in un appartamento di studenti stranieri, e gliene capitano di tutti i colori), ma è anche un film molto furbo, girato come un videoclip (non mancano neppure gli split screen e altri espedienti “movimentati”), brioso nel ritmo e godibile nel suo intento di commedia divertente senza troppi risvolti (si odora qua e là l’intenzione escatologica del regista di raccontare la condizione esistenziale dei giovani d’oggi, ma forse è solo un’impressione: se però erano questi gli intenti, non sono stati raggiunti). Pensato per i giovani, che nella rutilante vita dei protagonisti si possono rispecchiare fin quasi a sentirsene parte, ammicca anche ai meno giovani, che sorseggiano la nostalgia dei bei tempi andati al cospetto di cotanta gioventù piena di vita e di voglia di vivere. Quindi di fatto il film funziona di per sé – e non era scontato: il tentativo di bissare il successo in un seguito-fotocopia, uscito tre anni più tardi col titolo Bambole russe, non è andato per niente bene – ed anche, come accennato prima, come documento del periodo storico in cui nei confronti dell’Unione Europea c’è stata, prima della crisi, la fiducia che potesse rappresentare davvero la risposta ai problemi di un continente da secoli abituato alle divisioni e alle guerre.

Il resto, per carità, è ancora da scrivere, per cui non fasciamoci la testa oltre il dovuto. La crisi economica è una brutta bestia ma non è una guerra (anche se non di rado le guerre scoppiano in seguito a crisi economiche, ma lasciamo stare), e non è detto che le cose non tornino a posto e che la speranza si rifaccia strada nei nostri cuori. L’amore di una donna, se dopo l’entusiasmo iniziale capita che gli ardori si raffreddino, può anche essere riconquistato: probabilmente però l’entusiasmo non sarà più quello di una volta, se non altro sarà meno focoso. Qualcosa del genere potrebbe succedere anche nei confronti dell’Europa unita, una volta finita la crisi. Resta da registrare che, almeno oggi, un film come L’appartamento spagnolo probabilmente non lo girerebbe più nessuno (anche per questo può essere interessante dargli un’occhiata). In futuro, chissà?

Una scena del film

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