venerdì 10 gennaio 2014

Jonas Jonasson - L’analfabeta che sapeva contare

Jonas Jonasson, L’analfabeta che sapeva contare, Bompiani, Milano, 2013, pagg. 482
Titolo originale: Analfabeten son kunde räkna
Anno di prima pubblicazione: 2013
Traduzione di Margherita Podestà Heir
Voto: 8




Dopo il riuscito e acclamato Il centenario chesaltò dalla finestra e scomparve, Jonas Jonasson, lo scrittore più alla Paasilinna di Svezia, torna alla carica con L’analfabeta che sapeva contare. Diciamo subito che l’aderenza al lavoro precedente è il punto di forza e al tempo stesso tallone d’Achille di questo nuovo, comunque godibilissimo, libro. Ora come allora una “squadra” di personaggi improbabili e assolutamente incompatibili tra loro si trovano “accrocchiati” insieme a vivere una storia decennale che, seppure in modo nascosto e paradossale, finisce con l’incidere sulla storia del nostro pianeta. Stavolta la ragazza sudafricana Nombeko, autentica eroina del romanzo nonché intelligenza geniale nonostante le umilissime origini e l’istruzione da autodidatta, si ritrova, per varie ragioni, in Svezia in compagnia niente di meno che di una bomba atomica da tre megatoni! E come ci si può liberare di una bomba atomica senza far saltare in aria lei e con lei una bella porzione di nazione? Cercherà di entrare in contatto col re e il Primo Ministro di Svezia, presso i quali però per una profuga è difficile ottenere udienza: fortuna che potrà darle una mano un vecchio amico che nel frattempo ha fatto carriera, ossia il Presidente cinese Hu Jintao. La sfortuna però è che è incalzata da due agenti del Mossad che sulla bomba hanno messo gli occhi. Con lei, a darle una mano ma anche a causarle più di un grattacapo, ci sono anche due gemelli identici nell’aspetto quanto opposti nel carattere, dei quali solo uno iscritto all’anagrafe...

Insomma, cosa volere di più? In questo romanzo, la vera bomba atomica innescata è proprio la trama: Jonasson, con sapienza da cantore epico, annoda i vari fili della storia fino ad un finale che è un vero e proprio detonatore scoppiettante, piacevole e coinvolgente. Insomma, l’unico difetto nel romanzo sta nel fatto che gli “ingredienti” del racconto, ed il modo in cui sono miscelati, ricorda molto da vicino il Centenario (sembra quasi un newquel, per usare un brutto termine in voga nella cinematografia), e ciò dà un pizzico di senso di dèja-vu: anche lì una banda di personaggi improbabili faceva cose ancora più improbabili agendo nel sottobosco della grande storia.

Non fosse per questo, però, questo romanzo sarebbe riuscito pure meglio del lavoro precedente. Anche questo ha talvolta una “perfezione eccessiva”, una sorta di confezione così curata da apparire quasi fredda o matematica, ma in modo meno evidente che nel Centenario. A livello di ritmo, è invece più continuo e meno dispersivo: più lungo (di poco), ma meno “allungato”, cioè più compatto. Nel Centenario l’alternanza continua tra i due tempi del racconto ingolfava un po’ l’andamento della trama, qua l’alternanza tra due piani (spaziali piuttosto che cronologici) dura solo fino a nemmeno metà storia, poi le varie strade si uniscono e il ritmo del romanzo non perde più un colpo.

Dal punto di vista stilistico, la scelta dell’Autore è chiara e coerente: siamo dentro fino al collo nel romanzo umoristico. Anche se tante situazioni della vicenda potrebbero sconfinare nel thriller, magari di genere spy-story, Jonasson non abbandona mai il registro leggero: la molta suspense che usa non si fa mai tensione vera e propria. Il lettore di Jonasson non deve mai farsi prendere dall’angoscia per il racconto che sta leggendo: qua si ride, o comunque si sorride, praticamente dalla prima all’ultima pagina. L’umorismo è anche disimpegno ma mai demenzialità: neanche quando si parla delle condizioni di vita dei neri sudafricani ai tempi dell’apartheid si sconfina in una vera e propria critica sociale, ma non per questo si fa una parodia mistificatrice. Tutto è leggero, ma mai stupido. Con un modo di scrivere piano e scorrevole, ironia a palate, una trama complessa (di cui non perde mai il filo) ricca di situazioni paradossali, Jonasson si conferma maestro della lettura d’intrattenimento piacevole e non troppo impegnativa, ma comunque intelligente.

“Le cose non gli sono andate tanto bene e in fondo meglio così, ma con il mio aiuto e quello di altri è riuscito a costruire alcune bombe atomiche.”
“Sì, sei, se non sbaglio,” disse Hu Jintao.
“Sette,” lo corresse Nombeko. “Una delle tante cose che aveva calcolato male. Custodiva la settima in una stanza segreta che poi, per così dire, si è persa per strada. O meglio è finita... nel mio bagaglio... qui in Svezia.”
“La Svezia possiede armi nucleari?” esclamò stupito Hu Jintao.
“No, non la Svezia. Ma io. E io sono qui in Svezia”

(pag. 372)

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