Arto
Paasilinna, L’allegra apocalisse, Iperborea, Milano, 2010, pagg. 315
Titolo originale: Maailman
paras kylä
Anno di prima pubblicazione: 1992
Traduzione di Nicola Rainò
Voto: 8
Autore di
culto in patria, ma ben noto anche all’estero, Arto Paasilinna
è probabilmente il più famoso scrittore finlandese. Per quanto in tutti i
romanzi di Paasilinna ne succedano sempre di tutti i colori, è questa Allegra apocalisse – ultimo titolo
pubblicato in Italia, per quanto risalga al ’92 – la storia più incredibile che
il finlandese abbia mai raccontato. Il romanzo (ed è raro che in Paasilinna le
vicende coprano archi temporali così lunghi) si snoda dal 1992 al 2024: è di
fatto una saga trentennale ambientata nel futuro. Trent’anni in cui succede di
tutto: tra crollo dell’economia mondiale, esplosione di una centrale nucleare a
San Pietroburgo, scoppio della Terza Guerra Mondiale, lancio di bombe atomiche,
caduta di una cometa che sconvolge il mondo ruotando pure l’asse terrestre, e
via dicendo, praticamente in ogni pagina di questo romanzo accade qualcosa di
imprevisto ed eclatante – e dire che le prime cento pagine sono noiosette. È
l’apocalisse!
Proprio
così, è arrivata l’apocalisse, e sconvolge il mondo. L’Autore – ed ecco i
tratti paasilinniani del romanzo – la racconta però non in ottica mondiale, ma
dal punto di vista di un angolo di mondo che la supera serenamente, ossia una
comunità finlandese sorta praticamente per caso (un paradossale lascito
testamentario di un comunista “brucia chiese” che chiede che venga edificata
proprio una chiesa in suo nome). La vicenda di questo paradiso in terra che
affronta i trent’anni più drammatici della storia dell’uomo parte un po’ in sordina,
tanto che all’inizio l’Autore pare divertirsi più del lettore.
Poi però si
scatena l’incessante fantasia di Paasilinna (che talvolta si fa pure un po’
prendere la mano, tanto che il racconto in qualche passo si disordina, ma non è mai
caotico) e la sua poderosa macchina narrativa avvolge il lettore in spire
irresistibili. La capacità di raccontare
con ironia ogni storia, anche drammatica, in Paasilinna ha un significato
esistenziale, va di pari passo cioè con la capacità di vivere con ironia ogni momento, anche drammatico. Ecco che
assistiamo ad episodi su cui altri autori starebbero per un romanzo intero
(come l’inverno nucleare di La strada di
McCarthy) e che Paasilinna racconta in poche pagine, realistiche ma mai
esasperate, senza pathos né retorica.
Il racconto
meno paasilinniano diventa così il più schiettamente paasilinniano, perché
definisce un modello di concezione di racconto ma soprattutto di vita: l’uomo
“alla finlandese” è colui che riesce a costruire una simbiosi perfetta con i
suoi simili – ed in questo romanzo i personaggi li vediamo crescere e
invecchiare di pagina in pagina, tanto che finiamo con l’afferzionarci a loro:
c’è pure Seppo Sorionen, già protagonista di Lo smemorato di Tapiola, all’epoca cerusico per caso, ora ormai in
grado di operare a cuore aperto – e una simbiosi altrettanto perfetta anche con
la natura (anche se la natura, che nei romanzi di Paasilinna è per lo più
paradisiaca, si rivela in questo caso molto più dura). Se si innesta questa
concezione della vita, si può sopravvivere a tutto, anche all’apocalisse. Ecco
il messaggio più profondo e confortante della narrativa di Paasilinna: una
fiducia cieca nell’uomo, e nella sua capacità, al di là di tutto, di tirare
fuori il bene anche dalle situazioni più drammatiche. Non è certo una
concezione diffusa nella letteratura mondiale (si pensi ancora a McCarthy), ma
un po’ di utopico ottimismo – specialmente se, come in questo caso, è a
fondamento di una proposta costruttiva di definizione dei rapporti umani – ci
sta: l’umanità ha la capacità di vincere anche l’apocalisse. Basta volerlo. Basta essere, appunto, il più umani possibile.
Severi
Horttanainen trovava risibili quei timori. Parlare della fine del mondo era
delirio bello e buono. Per non dire, poi, che era da idioti credere che nella
Palestina primitiva fossero in grado di predire, migliaia di anni prima, l’apparizione
di una cometa. Comunque, se l’Apocalisse doveva venire, che venisse pure, non
era tipo da farsene un problema, in fondo era vecchio, e per di più celibe.
Aveva vissuto abbastanza.
(pag. 309)
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