Cube -
Il cubo (1997)
Titolo
originale: Cube
Regia:
Vincenzo Natali
Con:
Nicole de Boer, Maurice Dean Wint, Nicky Guadagni, David Hewlett, Andrew Miller
Voto:
7,5
Primo
lungometraggio del canadese (di chiarissime origine italiane) Vincenzo Natali, Il cubo è riuscito a rendere il suo
regista un autore di culto, nonché riconosciuto principe del “low budget”
(questo film sembra che sia costato 350 mila dollari, che per una produzione
cinematografica nordamericana non è molto). La pellicola si fa guardare in
effetti volentieri, nella sua compresenza di generi (thriller, horror,
fantascienza) che non è forse il maggior segreto del suo successo.
Probabilmente, la scelta vincente di Natali sta nella radicalità con cui viene
presentata la claustrofobica vicenda: ci sono sei persone (numero non casuale)
rinchiuse in un grosso cubo fatto di piccoli cubi comunicanti l’uno con l’altro
attraverso un varco presente su ognuna delle sei facce, e queste persone devono
uscirne. Uscirne sì, ma come? Già, questo è il problema: i prigionieri del cubo
infatti non devono solo capire qual è la direzione giusta per uscire, ma anche
in quale modo evitare quei cubi che – in modo apparentemente casuale –
nascondono trappole tanto pericolose che mettono seriamente a repentaglio la
vita di chi vi entra (a tratti, il film sembra in tal senso richiamare un
classico della letteratura gialla come Dieci
piccoli indiani di Agatha Christie). Insomma, la situazione è tra Stephen
King e Franz Kafka, con l’aggravante che i prigionieri del cubo non sanno né
chi li ha messi lì, né per quale ragione. Del resto non lo sappiamo nemmeno
noi, né al regista – ecco la radicalità di cui parlavo prima – interessa farcelo
sapere (e infatti la camera da presa non esce mai fuori da quelle cubiche mura,
che oltretutto cambiano colore ogni tanto, a creare inquietanti giochi di luci
e ombre), ma questa asciuttezza della trama non indebolisce il film, anzi lo
rafforza perché fa convergere tutta la tensione attorno all’unica cosa che
davvero conta della situazione, ossia sopravvivere e uscire vivi. Insomma, alea iacta est, il dado (anzi, il cubo)
è tratto, e da questo – uno spunto narrativo tutto sommato fragile – si srotola
l’intera trama, che invece tiene incollati (e pure un po’ angosciati) allo
schermo. Ogni tanto si va un po’ sopra le righe, forse alcuni personaggi sono
un po’ troppo stilizzati, ma non importa: quando si guarda questo film, l’unica
preoccupazione che si ha è quella di uscire sani e salvi dal cubo. Film
sconsigliato ai claustrofobici, ma intrigante.
Una scena del film
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