Orizzonti
di gloria (1957)
Titolo
originale: Paths of Glory
Regia: Stanley Kubrick
Con: Kirk Douglas, George Macready, Adolphe Menjou
Voto:
10
Prima
guerra mondiale: sul fronte franco-tedesco, il generale transalpino Broulard
(interpretato da George Macready) ordina, avido di gloria, una scellerata
incursione verso le trincee nemiche, un’operazione senza alcuna speranza di
riuscita. Come era inevitabile, la sortita non è che un bagno di sangue cui
segue una veloce ritirata. Per coprire l’onta della propria insensata condotta,
il generale accusa i suoi uomini di codardia, e pretende un tributo di sangue,
che tre di loro a caso siano fucilati per la loro pusillanimità. Ad opporsi a
questa decisione, nel processo-farsa che segue, c’è però il tenace colonnello
Dax (incarnato da uno strepitoso Kirk Douglas).
L’antimilitarismo,
che sarà centrale in alcuni dei film più importanti di Kubrick (si pensi a Full Metal Jacket), permea senza dubbio
questo grandissimo film. Si noti anzitutto che il nemico in questo in questa
storia non ha un volto: non si vede un soldato tedesco in tutto il film, se ne
sentono solo gli spari provenire dalle trincee. I poveri cristi al fronte
combattono senza neanche sapere contro chi va, e probabilmente neanche perché
(viene in mente il soldato “che aveva il
tuo stesso identico nome ma la divisa di un altro colore” in La guerra di Piero di De André). Cosa c’è
di più assurdo nell’ammazzare e nel morire senza neanche sapere perché? La
guerra è una follia, così come è una follia l’ordine del generale transalpino
di attaccare una postazione che per sua stessa ammissione i suoi uomini
faticherebbero a mantenere, figurarsi a conquistare. Ma, all’interno di un’assurdità
assoluta come la guerra, nemmeno un ordine così assurdo salta all’occhio, tant’è
che nessuno degli interessati ne lamenta la straordinarietà – gli stessi
soldati processati deplorano l’ingiustizia della propria sorte, non la
stranezza, come se in guerra ogni buon senso, anche da parte dei “buoni” e
delle vittime, fosse inevitabilmente bandito.
La
grandezza di Kubrick sta nel non fermarsi però a questo netto antimilitarismo –
che include in sé anche un’implicita avversione alla pena di morte, e lo
sottolinea la scena del condannato in barella (non dico di più per non svelare
troppo della trama). No, Kubrick legge il suo antimilitarismo in chiave
sociale, in un’ottica di scontro di classe. E non è certo una forzatura: questo
film mostra in modo quanto mai chiaro come la guerra sia una faccenda decisa
dall’alto, da ufficiali in alta uniforme alloggiati in regge lussuose, e
combattuta dagli strati sociali inferiori, in sporche trincee dove si muore
come bestie. Non a caso, la postazione tedesca che i francesi dovrebbero
conquistare è chiamato “il formicaio”, mentre gli alti ufficiali decidono le
loro strategie come se stessero giocando a scacchi. La polvere da sparo e il
sangue da una parte, i lustrini e le cene di gala dall’altra: la vera guerra è
tra i diversi strati sociali, tra un’oligarchia onnipotente e una massa di
sottomessi sfruttati. E ciò che vale in tempo di guerra – accentuato dall’assurda
liturgia delle gerarchie militari – non è detto che non valga anche in tempo di
pace, tutt’altro. Vale allora ciò che si è detto a proposito dello scontro di classe quando si è parlato di Titanic di De
Gregori (ma vale anche per il ciclo dei vinti di Verga, dacché il tema è
sicuramente molto ampio): come si vede, Orizzonti di gloria non è solo un
ottimo film di guerra, è molto di più.
Datato 1957 e tratto da un romanzo dello scrittore canadese Humphrey Kobb (a sua volta ispirato ad un episodio realmente accaduto sul fronte francese durante la grande guerra), questo è il terzo film di Stanley Kubrick (o il quarto se contiamo anche l’esordio di Paura e desiderio, rinnegato dallo stesso regista), che già gira come un veterano, in una pellicola in cui la grandissima regia – un impeccabile bianco e nero a sostenere una trama che non cala mai di ritmo – non è inferiore alla prova recitativa degli attori, impegnati in scene più teatrali che cinematografiche, in cui svettano gli indimenticabili Kirk Douglas e George Macready (ma anche Adolphe Menjou è delizioso). Un film d’altri tempi che non invecchia mai: da non perdere.
Datato 1957 e tratto da un romanzo dello scrittore canadese Humphrey Kobb (a sua volta ispirato ad un episodio realmente accaduto sul fronte francese durante la grande guerra), questo è il terzo film di Stanley Kubrick (o il quarto se contiamo anche l’esordio di Paura e desiderio, rinnegato dallo stesso regista), che già gira come un veterano, in una pellicola in cui la grandissima regia – un impeccabile bianco e nero a sostenere una trama che non cala mai di ritmo – non è inferiore alla prova recitativa degli attori, impegnati in scene più teatrali che cinematografiche, in cui svettano gli indimenticabili Kirk Douglas e George Macready (ma anche Adolphe Menjou è delizioso). Un film d’altri tempi che non invecchia mai: da non perdere.
Da sinistra, Adolphe Menjou, Kirk Douglas e George Macready in una scena del film
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