Antonio
Tabucchi, Sostiene Pereira, Feltrinelli, Milano, 2004, pagg. 214
Anno di prima pubblicazione: 1994
Voto: 10
Non c’è
molto da dire, in verità: Sostiene
Pereira è probabilmente l’opera più nota (e più premiata!) del mai
abbastanza rimpianto Antonio Tabucchi, e si merita pienamente tutta la fama che
ha ottenuto. Non si può che consigliare di leggerla, a chi ancora fosse
sfuggita. È un libro che ammalia e conquista, dopo i primi tre-quattro capitoli
che sembrano essere un po’ in sordina, ma che in realtà servono al lettore per
acclimatarsi con lo straordinario stile tabucchiano, si tratta di una lettura
che incommensurabilmente piacevole. Pereira è un giornalista mite – ma non per
questo propenso a chinare facilmente la testa – ai tempi della dittatura in
Portogallo, e la sua storia – con quelle del ribelle Monteiro Rossi e del dottor
Cardoso – è una storia di libertà, di riaffermazione della libertà, un esempio
di riscatto di libertà dal forte valore morale che si dovrebbe leggere anche
alla luce di un’attualità che troppo spesso, nonostante tutte le lezioni del
passato, si lascia sedurre – sta succedendo anche in questi giorni, con il
parlamento italiano che sta studiando una legge contro la diffamazione che pare
molto restrittiva dei diritti dell’informazione – dalla tentazione di limitare
la libertà di stampa (lo stesso Tabucchi fu anche un giornalista e, a suo modo,
non fu esente da qualche problema “alla Pereira”...) È anche una storia che
disorienta soprattutto per la bellezza statuaria dello stile con cui è narrata,
stile introspettivo, leggero, quasi ironico, in grado di avvicinare molto il
personaggio, che pare deporre la sua storia di fronte ad una sorta di tribunale
della letteratura, al lettore, facendo sì che scaturisca nei confronti di Pereira, un personaggio davvero straordinario, umile e titanico allo stesso tempo, una simpatia sconfinata. E
non è uno stile fine a se stesso, ma funzionale ad un racconto che procede di
pagina memorabile in pagina memorabile, tra piccole lezioni di vita quotidiana,
piccoli episodi raccontati come se fossero grandi eventi o magari grandi eventi
raccontati come se fossero piccole cose... È bene non dire altro, se non che il
romanzo si fregia oltretutto di un finale che non può che emozionare molto
intensamente...
Pereira
sapeva che i mercati erano in agitazione, perché il giorno prima, in Alentejo,
la polizia aveva ucciso un carrettiere che riforniva i mercati e che era
socialista. Per questo la Guarda Nacional Republicana stazionava davanti ai
cancelli dei mercati. Ma il “Lisboa” non aveva avuto il coraggio di dare la
notizia, o meglio il vicedirettore, perché il direttore era in ferie, stava al
Buçaco, a godersi il fresco e le terme, e chi poteva avere il coraggio di dare
una notizia del genere, che un carrettiere socialista era stato massacrato in
Alentejo sul suo barroccio e aveva cosparso di sangue tutti i suoi meloni?
Nessuno, perché il paese taceva, non poteva fare altro che tacere, e intanto la
gente moriva e la polizia la faceva da padrona. Pereira cominciò a sudare,
perché pensò di nuovo alla morte. E pensò: questa città puzza di morte, tutta l’Europa
puzza di morte.
(pagg. 13-14)
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