Fred Uhlman,
L’amico ritrovato, Feltrinelli-Loescher, Milano-Torino, 1986, pagg. 143
Titolo originale: Reunion
Anno di prima pubblicazione: 1971
Traduzione di Maria Giulia Castagnone
Voto: 9,5
Non che alla
cosa vada poi data così importanza (non è detto che sia un’immagine così
rappresentativa e fedele del nostro paese, ma magari lo è...), però in questi
giorni in rete impazza un video di un famoso quiz televisivo in cui i
concorrenti non hanno idea del periodo (non solo l’anno, ma addirittura il
decennio) in cui erano al potere Hitler e Mussolini (concorrenti che dopo aver
sbagliato poi talvolta si spanciano in risate: cosa ci sarà poi da ridere?) In
un paese così viene il sospetto che non solo la conoscenza storica (stiamo
parlando oltretutto di argomenti relativamente recenti, mica delle “polverose”
Guerre Puniche) ma proprio la memoria stessa di ciò che siamo stati, e di ciò
che i nostri antenati hanno fatto perché noi oggi fossimo qui, siano temi ormai
drammaticamente passati di moda. È un tipo di sensibilità che non promette
niente di buono, anzi pare invero l’anticamera perché gli orrori del passato,
una volta dimenticati, possano ripresentarsi intatti ora come allora.
Specialmente
in prossimità della Giornata della Memoria, ma – perché no? – anche negli altri
periodi dell’anno, riprendere in mano testi che raccontino gli orrori del
nazifascismo non è solo una scelta culturale di approfondimento delle
conoscenze in senso lato, ma anche un tentativo di riportare alla nostra
attenzione tematiche fondamentali di cui troppo spesso sembra che la collettività
– quella che potremmo chiamare “opinione pubblica” – voglia sbarazzarsi. Fermo
restando che una conoscenza storiografica “diretta” tramite fonti puntuali e
competente è di certo imprescindibile, la letteratura in tal senso svolge un
ruolo fondamentale perché scaraventa il lettore direttamente “nel bel mezzo”
del contesto storico-narrativo. Se la storia “ci fa conoscere” gli eventi, la
letteratura “ci fa vivere” in essi, ce li mostra attraverso un’ottica meno
generale ma più interna, più immediata, dove è più facile rendersi conto degli
abomini che venivano commessi in quel tempo, ed è più semplice fermarsi un
attimo durante la lettura e, prima di riprenderli, chiedersi con sgomento: ma davvero è successo tutto questo?
Tra i tanti
libri sul nazifascismo tra cui scegliere, oggi ho deciso di dedicarmi a L’amico ritrovato, celeberrimo romanzo
di Fred Uhlman che deve molta della sua fama anche al fatto che è spesso
inserito nei programmi scolastici. Anzi, io stesso l’ho letto per la prima
volta a scuola, alle medie. E l’ho, senza mezzi termini, letteralmente odiato:
confesso di ricordare che non mi piacque per niente. Rileggendolo anni dopo mi
sono invece convinto della grandezza di questo testo, la cui trama è nota:
nella Stoccarda nazista del secondo anteguerra, il protagonista, un sedicenne
ebreo, fa amicizia – una profonda amicizia – con un rampollo di buona famiglia “ariana”.
Il periodo non è però quello più adatto per questo tipo di amicizia, ed anzi il
giovane ebreo viene costretto dalla contingenza a fuggire in America. Anni
dopo, niente lo lega più alla vita di un tempo in Germania, tranne quello che
succede nel bruciante e sconvolgente finale, che trafigge al cuore anche il più
sensibile dei lettori.
La grandezza
di Uhlman, tra l’altro, sta probabilmente nell’abbandonarsi ai ricordi in modo
quasi lirico, asciugando il testo di qualsiasi retorica eccessiva: raccontare
gli orrori del nazismo si può fare anche indugiando sulle bellezze di una
Germania meravigliosa che la follia del nazismo ha velocemente spazzato via.
Bella la Germania, bello viverci la giovinezza, così spensieratamente pensierosa,
facile e difficile allo stesso tempo, dove le amicizie creano legami così forti
che è difficile crearne di simili ad età più adulte. Poi il fanatismo, il
razzismo e tutti gli estremismi cialtroni del nazismo ha provveduto a
cancellare tutto questo.
Dicevo che
quando l’ho letto a scuola ho piuttosto detestato questo romanzo. Al di là dei
gusti personali, credo che ciò sia dovuto al fatto che a dire il vero L’amico ritrovato non è poi così “per
ragazzi” come spesso si dice. Anzitutto, la trama è assolutamente scarna: nel
romanzo non succede quasi niente, per
lo più assistiamo a rievocazioni sparse e riflessioni varie. E poi c’è da
considerare che lo stile di Uhlman, sebbene impeccabile, è talvolta complesso,
molto intarsiato, quasi neoclassico, colmo di citazioni erudite. Non si tratta
insomma di un testo sempre facilmente “digeribile” per dei ragazzi. Poi
intendiamoci: i ragazzi possono leggere di tutto, anche L’amico ritrovato, ed anzi – come ho detto in apertura – è un bene,
e quasi una necessità, che lo facciano; basta che siano messi nelle possibilità
di apprezzare il testo fornendo loro gli strumenti adeguati per farlo.
E qua casca
l’asino, didatticamente parlando: l’edizione di riferimento di questa
recensione è appunto quella scolastica su cui ho studiato io. Ed è un’edizione sicuramente
molto buona: l’apparato di introduzione e presentazione al testo, così come il
complesso di note esplicative a piè di pagina, è per lo più impeccabile, in
grado di fornire in modo chiaro ma preciso tutte le informazioni necessarie per
contestualizzare appieno tutti i passaggi, anche i più complessi, del romanzo. Quello
che mi lascia – e mi lasciò da ragazzo – più perplessità è invece la sequela di
esercizi che intervallano il testo (oltre a quelli che di sua iniziativa ci
faceva fare la nostra pur brava docente): lavorare su un testo così ricco e
complesso con domande a crocette ed esercizi di divisione in sequenze,
riassunti e analisi formali pare proprio il migliore dei modi per allontanare
gli studenti dal piacere della lettura. Un po’ quel che succede coi Promessi sposi, che molti odiano non
perché siano un brutto romanzo (ci mancherebbe!), ma perché a scuola li hanno
studiati con esercizi poco sensati che magari vertevano sui formaggi mangiati
da Renzo nel suo girovagare per la Lombardia. Ecco, un romanzo non è una
funzione matematica da analizzare con calcoli e diagrammi. È una cosa un po’
più creativa, e come tale andrebbe presentata alle nuove generazioni.
Altrimenti c’è il rischio che esse non riescano a capire quanto grande sia la
gioia che può dare leggere un libro. E che magari vadano in tv a dire che
Hitler è diventato cancelliere nel 1979...
Ricordo
ancora un’accanita discussione tra mio padre e un sionista incaricato di
raccogliere fondi per Israele. Mio padre detestava il sionismo, che giudicava
pura follia. La pretesa di riprendersi la Palestina dopo duemila anni gli
sembrava altrettanto insensata che se gli italiani avessero accampato dei
diritti sulla Germania perché un tempo era stata occupata dai romani. [...]
Quando il sionista accennò a Hitler, chiedendogli se il nazismo non gli facesse
paura, mio padre rispose: “Per niente. Conosco la mia Germania. Non è che una
malattia passeggera, qualcosa di simile al morbillo, che passerà non appena la
situazione economica accennerà a migliorare. Lei crede sul serio che i
compatrioti di Goethe e di Schiller, di Kant e di Beethoven si lasceranno
abbindolare da simili sciocchezze? Come osa offendere la memoria dei dodicimila
ebrei che hanno dato la vita per questo paese? Für unsere Heimat?”
(pagg. 77-8)
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