Jonas
Jonasson, L’analfabeta che sapeva contare, Bompiani, Milano, 2013, pagg.
482
Titolo originale: Analfabeten
son kunde räkna
Anno di prima pubblicazione: 2013
Traduzione di Margherita Podestà Heir
Voto: 8
Dopo il
riuscito e acclamato Il centenario chesaltò dalla finestra e scomparve, Jonas Jonasson, lo scrittore più alla
Paasilinna di Svezia, torna alla carica con L’analfabeta
che sapeva contare. Diciamo subito che l’aderenza al lavoro precedente è il
punto di forza e al tempo stesso tallone d’Achille di questo nuovo, comunque
godibilissimo, libro. Ora come allora una “squadra” di personaggi improbabili e
assolutamente incompatibili tra loro si trovano “accrocchiati” insieme a vivere
una storia decennale che, seppure in modo nascosto e paradossale, finisce con l’incidere
sulla storia del nostro pianeta. Stavolta la ragazza sudafricana Nombeko,
autentica eroina del romanzo nonché intelligenza geniale nonostante le
umilissime origini e l’istruzione da autodidatta, si ritrova, per varie
ragioni, in Svezia in compagnia niente di meno che di una bomba atomica da tre
megatoni! E come ci si può liberare di una bomba atomica senza far saltare in
aria lei e con lei una bella porzione di nazione? Cercherà di entrare in
contatto col re e il Primo Ministro di Svezia, presso i quali però per una
profuga è difficile ottenere udienza: fortuna che potrà darle una mano un vecchio
amico che nel frattempo ha fatto carriera, ossia il Presidente cinese Hu
Jintao. La sfortuna però è che è incalzata da due agenti del Mossad che sulla
bomba hanno messo gli occhi. Con lei, a darle una mano ma anche a causarle più
di un grattacapo, ci sono anche due gemelli identici nell’aspetto quanto
opposti nel carattere, dei quali solo uno iscritto all’anagrafe...
Insomma,
cosa volere di più? In questo romanzo, la vera bomba atomica innescata è
proprio la trama: Jonasson, con sapienza da cantore epico, annoda i vari fili
della storia fino ad un finale che è un vero e proprio detonatore
scoppiettante, piacevole e coinvolgente. Insomma, l’unico difetto nel romanzo
sta nel fatto che gli “ingredienti” del racconto, ed il modo in cui sono
miscelati, ricorda molto da vicino il Centenario
(sembra quasi un newquel, per usare
un brutto termine in voga nella cinematografia), e ciò dà un pizzico di senso
di dèja-vu: anche lì una banda di
personaggi improbabili faceva cose ancora più improbabili agendo nel sottobosco
della grande storia.
Non fosse
per questo, però, questo romanzo sarebbe riuscito pure meglio del lavoro
precedente. Anche questo ha talvolta una “perfezione eccessiva”, una sorta di
confezione così curata da apparire quasi fredda o matematica, ma in modo meno
evidente che nel Centenario. A
livello di ritmo, è invece più continuo e meno dispersivo: più lungo (di poco),
ma meno “allungato”, cioè più compatto. Nel Centenario
l’alternanza continua tra i due tempi del racconto ingolfava un po’ l’andamento
della trama, qua l’alternanza tra due piani (spaziali piuttosto che
cronologici) dura solo fino a nemmeno metà storia, poi le varie strade si
uniscono e il ritmo del romanzo non perde più un colpo.
Dal punto di
vista stilistico, la scelta dell’Autore è chiara e coerente: siamo dentro fino
al collo nel romanzo umoristico. Anche se tante situazioni della vicenda potrebbero
sconfinare nel thriller, magari di genere spy-story,
Jonasson non abbandona mai il registro leggero: la molta suspense che usa non
si fa mai tensione vera e propria. Il lettore di Jonasson non deve mai farsi
prendere dall’angoscia per il racconto che sta leggendo: qua si ride, o
comunque si sorride, praticamente dalla prima all’ultima pagina. L’umorismo è
anche disimpegno ma mai demenzialità: neanche quando si parla delle condizioni
di vita dei neri sudafricani ai tempi dell’apartheid si sconfina in una vera e
propria critica sociale, ma non per questo si fa una parodia mistificatrice.
Tutto è leggero, ma mai stupido. Con un modo di scrivere piano e scorrevole,
ironia a palate, una trama complessa (di cui non perde mai il filo) ricca di
situazioni paradossali, Jonasson si conferma maestro della lettura d’intrattenimento
piacevole e non troppo impegnativa, ma comunque intelligente.
“Le cose non
gli sono andate tanto bene e in fondo meglio così, ma con il mio aiuto e quello
di altri è riuscito a costruire alcune bombe atomiche.”
“Sì, sei, se
non sbaglio,” disse Hu Jintao.
“Sette,” lo
corresse Nombeko. “Una delle tante cose che aveva calcolato male. Custodiva la
settima in una stanza segreta che poi, per così dire, si è persa per strada. O
meglio è finita... nel mio bagaglio... qui in Svezia.”
“La Svezia
possiede armi nucleari?” esclamò stupito Hu Jintao.
“No, non la
Svezia. Ma io. E io sono qui in Svezia”
(pag. 372)
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