Schindler’s
List (1993)
Titolo
originale: Schindler’s List
Regia:
Steven Spielberg
Con: Liam Neeson, Ben Kingsley, Ralph Fiennes
7 Premi Oscar 1994
(Miglior film, Migliore regia, Migliore sceneggiatura non originale, Migliore
fotografia, Migliore scenografia, Miglior montaggio, Miglior colonna sonora)
Voto:
9,5
Concludiamo
la nostra mini-rassegna sulla Giornata della Memoria, iniziata con la
recensione di L’amico ritrovato della
settimana scorsa, con un’altra opera assai famosa e altrettanto celebrata sul
nazismo come Schindler’s List, film
del 1993 girato da Steven Spielberg e basato su una storia vera raccontata nell’omonimo
romanzo di Thomas Keneally pubblicato nel 1982.
Il
film è celeberrimo e non ha bisogno di grandi commenti. La (vera) storia di
Oskar Schindler d’altra parte – imprenditore dapprima “furbetto” che cerca di
lucrare sulla manodopera ebrea a basso costo ma poi, resosi conto dell’abominio
che il nazismo sta scatenando, si decide a fare quanto è nelle sue possibilità (a
rischio pure della vita) per salvare dallo sterminio il maggior numero
possibile di perseguitati – era troppo esemplare perché nessuno la raccontasse.
E, per fortuna, è stata raccontata e pure bene, in un film di pregevole fattura
tecnica (girato in una ricercato bianco e nero non senza qualche significativa
eccezione cromatica) e dalla grande prova attoriale dei protagonisti.
A
costo allora di anticipare il finale – chi non ha visto ancora il film è
avvisato e quindi può interrompere qui la lettura – vale la pena quindi
soffermare la nostra analisi sugli ultimi minuti del film, su quella che è
forse la scena più sorprendente dell’intero lavoro. La Germania è battuta,
Oskar Schindler, che è pur sempre iscritto al partito nazista sebbene lo abbia
sotterraneamente boicottato, è pronto a darsi alla macchia ed i suoi
lavoratori, tutti scampati grazie a lui dalla deportazione nei campi di
sterminio, lo ringraziano con un anello in cui è incisa una significativa frase
del Talmud: Chiunque salva una vita,
salva il mondo intero.
Sembra
il momento della definitiva celebrazione di Oskar Schindler, del suo trionfo da
eroe qual è. Ed invece Schindler scoppia in un pianto disperato rimproverandosi
di non aver fatto abbastanza: lamenta a se stesso che, se avesse voluto, magari
vendendo ancora più cose di quanto non abbia fatto, avrebbe potuto salvare
ancora più vite.
Sebbene
tratti di un argomento spinoso come la Shoah, Schindler’s List è
sostanzialmente un film piuttosto asciutto, non privo di momenti emotivamente
molto intensi ma nel complesso rispettosamente non retorico; una delle scene più
ricche di pathos e dramma è proprio questa del pianto di Schindler, una scena
straziante che per certi versi sembra fuori luogo, pare quasi voler commuovere
ad ogni costo con un pentimento fuori luogo, o comunque sicuramente eccessivo:
se anche Schindler avesse potuto fare di più, non ci sono dubbi sul fatto che
quanto ha fatto sia già abbastanza per fare di lui un eroe, o comunque una
figura simbolo di chi, anche tra i tedeschi, trovò la forza e il coraggio per
opporsi al nazismo.
Ciononostante,
il pianto di Schindler non è così “gratuito” come può sembrare in un primo
momento, e scomoda questioni etiche con le quali tutti noi dovremmo fare i
conti. Ha ragione da vendere il buon Oskar, infatti, quando sostiene di non
aver fatto abbastanza: quando si parla di morale, purtroppo, non si fa mai
abbastanza, si potrebbe fare sempre qualcosa di più. Nel momento in cui ci
diciamo “Ho fatto tutto quello che dovevo fare”, e di conseguenza
autoassolviamo il nostro comportamento mettendolo al riparo dalla possibilità
di critiche e correzioni, commettiamo una comprensibile ma importante forzatura,
ci “adagiamo” su un compiacimento che può diventare un alibi per non darsi da
fare in futuro per cercare di fare ancora meglio. In tal senso, la lezione di
Schindler è da non dimenticare.
È
però altrettanto vero che Schindler tralascia di ricordare che quanto ha fatto
è comunque tanto, molto di più di quelli che non hanno fatto niente. Avrebbe
avuto infatti anche la possibilità di non
fare niente, di lasciare che gli eventi facessero il loro corso senza opporvisi,
senza prendersi rischi, senza schierarsi dalla parte più pericolosa. In tanti
fecero così. E sarebbe stato un comportamento da condannare? Be’, dal nostro
punto di vista sì. Ma il nostro punto di vista è particolarmente comodo: noi la
guerra, per fortuna, siamo abituata a leggerla sui libri e a vederla in dvd,
non ci costa nulla dire “Se avessi vissuto ai tempi del nazismo, avrei fatto
come Schindler”. A trovarcisi nel mezzo, con la consapevolezza che non è privo
di pericoli opporsi al nazismo, magari sarebbe stata un’altra storia. Beata la
terra che non ha bisogno di eroi, diceva Brecht, ed è proprio questo il punto,
ripreso anche da una canzone di Francesco De Gregori, Il cuoco di Salò, che taluni hanno interpretato come revisionista e
che invece è semplicemente un “promemoria” del fatto che a volte ci si trova “dalla
parte sbagliata” e non è facile riallinearsi dalla parte giusta, perché non
tutti hanno la voglia o il coraggio di rischiare la vita per difendere le idee
giuste, non tutti nascono con la divisa da eroe sopra la pelle. È facile
condannare dal divano, meno facile fare la cosa giusta sapendo di poterla
pagare con la vita. Il nostro compito allora, il compito di chi come noi la
guerra la legge sui libri e la vede al cinema, e che di conseguenza non è
chiamato dalla storia ad essere un eroe, è quindi proprio quello di fare in
modo che queste cose rimangano vive nella memoria e lontane dalla realtà, che
il loro monito ci resti ben presente in testa e faccia in modo che niente di
simile a quanto è già successo si ripeta mai più. Sono bellissimi gli eroi come
Schindler e il loro esempio non va dimenticato. Ma ancora meglio è vivere in un
mondo in cui non c’è bisogno di essere eroi perché le cose vanno già da sé per
il verso giusto. Questo è il nostro compito.
Liam Neeson in una delle ultime scene del film, quella del pianto di Schindler
Nessun commento:
Posta un commento