venerdì 21 ottobre 2011

José Saramago - Cecità

José Saramago, Cecità, Feltrinelli, Milano, 2010, pagg. 276
Titolo originale: Ensaio sobre a cegueira
Anno di prima pubblicazione: 1995
Traduzione di Rita Desti
Voto: 9,5



Un’epidemia di cecità coinvolge un’intera nazione, o forse il mondo, tranne che una persona, la moglie di un oculista che, insieme ad altre sei persone, tra cui il marito, costituisce il gruppo di protagonisti attraverso cui viene raccontata la vicenda (la focalizzazione è interna ma il narratore è esterno). Messa di fronte ad un simile cataclisma, come può comportarsi l’umanità, considerando anche che l’evento ha chiaramente spazzato via ogni forma di istituzione organizzata? Molto male. Saramago ci racconta di un’umanità animalizzata, uomini bestiali in cerca di cibo e pronti a sopraffarsi l’un l’altro, non solo al fine di sopravvivere, ma anche per sfruttare con violenza gli altri godendo dell’assenza di poteri terzi di controllo. Siamo in presenza di un’umanità che, a contatto con l’apocalissi, si brutalizza, proprio come in La strada di McCarthy: anche nel testo di Saramago nessun personaggio ha un nome, e le parole dei personaggi fluiscono sul testo senza la “mediazione” delle virgolette, in una sorta di discorso diretto libero che testimonia anche graficamente l’anarchia disordinata in cui è caduto il mondo. E proprio come in McCarthy, anche qua, di fronte all’abbrutimento dei propri simili, esiste una nicchia di resistenza di persone che non abbandonano la propria umanità, e da questa cercano di ripartire per conservare, per sé e per la propria specie, una goccia di speranza.

La dimensione allegorica del romanzo di Saramago è sicuramente molto forte: la cecità non affligge solo quelli che – senza alcuna colpa – non vedono più dagli occhi; la cecità colpisce – con loro colpa – anche e soprattutto quelli che non riescono a vedere dall’anima, che lasciano che la loro natura bestiale abbia la meglio su quella umana. Ecco tutto il pessimismo della denuncia di Saramago, che rispetto a McCarthy (concentrato soprattutto sul rapporto padre-figlio) dipinge un affresco a respiro più ampio, più attento ai rapporti sociali e alla politica (le istituzioni militari sono in questo libro le più maltrattate dall’Autore!). Allegoria sì, ma anche concretezza di una trama molto forte e dura, serrata e avvincente. In entrambe le parti della vicenda (il “primo tempo” è ambientato in un ospedale-prigione in cui sono rinchiusi i ciechi, il secondo si svolge al di fuori di esso, in città) Saramago dà fondo alla propria fantasia e alle proprie qualità di grandissimo narratore, costruendo una vicenda che non lascia scampo al lettore. Cecità è un romanzo crudo che di certo non rallegra, che anzi in taluni tratti fa proprio star male chi legge: non per questo si può dire che non sia un grande libro.

La moglie si era già coricata, lui ricordava vagamente che gli si era avvicinata un momento e gli aveva dato un bacio sui capelli, Me ne vado a dormire, doveva aver detto adesso la casa era silenziosa, sul tavolo i libri sparpagliati, Che cosa sarà, pensò, e all’improvviso ebbe paura, come se anche lui fosse sul punto di diventare cieco un attimo dopo e già lo sapesse. Trattenne il respiro e aspettò. Non successe niente. Successe un minuto dopo, mentre radunava i libri per riporli nella scaffalatura. Prima capì di non vedere più le mani, poi seppe di essere cieco
(pag. 29)

Nessun commento:

Posta un commento