venerdì 7 ottobre 2011

Mikael Niemi - L'uomo che morì come un salmone


Mikael Niemi, L’uomo che morì come un salmone, Iperborea, Milano, 2011, pagg.
Titolo originale: Mannem som dog som em lax
Anno di prima pubblicazione: 2006
Traduzione di: Laura Cangemi
Voto: 7


Su Saturno, l’inserto culturale di Il fatto quotidiano del 30 settembre scorso, viene segnalato, tra i libri “da evitare”, Lo scalpellino di Camilla Läkberg (Marsilio), in quanto “è proprio il solito giallo svedese”. Non ho letto nulla della Läkberg, quindi non so dire se nel merito quelli di Saturno hanno ragione, però su un piano generale quelle scarne parole fanno luce su un problema letterario molto attuale: l’inflazione di gialli che stanno arrivando dalla Scandinavia, e in particolar modo dalla Svezia, inizia a stancare. Ormai tutti questi gialli del nord, nel giro di pochissimo tempo, son passati dall’essere un interessantissimo fenomeno letterario mondiale al diventare un cliché trito ripetitivo e poco stimolante. E il problema è più grave di quanto si possa pensare, e porta con sé due aspetti da non trascurare. Il primo è che in questa valanga di noir tutti uguali e stancamente adagiati su un modello ormai canonico si rischia di perdere di vista anche quelli che invece hanno un grande valore intrinseco e son di livello superiore. Il secondo è che puntando troppo sui gialli si snaturano la qualità e la vocazione della letteratura svedese contemporanea che – si noti bene – è invece una grandissima scuola, fatta di autori di caratura mondiale e di testi eccellenti, spesso non facili e lontani dalla natura “pop” dei gialli (per fare solo un esempio, citiamo il già recensito La biblioteca del Capitano Nemo di Per Olov Enquist). I gialli vanno benissimo e non voglio certo demonizzarli: temo solo che il loro successo possa offuscare altri grandi voci della narrativa nordeuropea.

Ed eccoci a L’uomo che morì come un salmone di Mikael Niemi: per fare un esempio di “snaturamento” della scuola narrativa svedese, questo romanzo capita veramente a proposito. Abbiamo appena parlato dei grandi autori della scuola scandinava: Mikael Niemi è sicuramente uno di questi. Il suo Musica rock da Vittula (2000) è uno dei romanzi migliori degli ultimi anni, libro di culto in patria molto noto anche all’estero; anche Il manifesto dei cosmonisti (2004), testo più anomalo e del tutto differente dall’altro, è di ottimo livello. In entrambi i lavori rifulge la qualità narrativa di un autore dalla grande penna in grado di affrontare temi esistenziali impegnativi e dolorosi con un tono sobrio e anzi spesso addirittura ironico che rende la lettura piacevolissima. Insomma, un vero e proprio maestro del racconto.

E perché Niemi (con questo lavoro uscito in traduzione da noi solo ora, ma edito in patria nel 2006) si è cimentato con un giallo? È forse la sua volontà di cavalcare la moda del momento e arrivare ad una maggiore fama? O – peggio – è una “idea” della sua casa editrice (la Norstedts di Stoccolma) di associare un autore già di successo ad un genere di successo per ottenere vendite da capogiro? Non so dire. Fatto sta che l’innesto – cioè l’inserimento nella penna di Niemi di un genere che non sembra appartenergli – non pare dei più felici.

Questo senza nulla togliere all’arte di Niemi che, anzi, come a sopperire sulle mancanze della trama, dà mostra ancora una volta di una capacità scrittoria non comune, sfoggiando uno stile eccezionale che gira a meraviglia, con grande ritmo e assolute abilità narrative. È la trama invece ad impiastricciarsi in uno svolgimento problematico e eccessivamente complicato. Niemi prova a giocarsela sul terreno di un giallo sui generis che affronta – come in Musica rock da Vittula – i problemi del suo Tornedal, la regione del nord della Svezia di cui egli è nativo. Siamo in Svezia, ma si parla una varietà di finlandese, e l’indagine per delitto da “solito giallo svedese” si trasforma in un’indagine storica e soprattutto linguistica della zona, con excursus di sicuro interesse. Parlando di un giallo “poco giallo” interessato alle questioni linguistiche, viene da pensare a Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Gadda, ma le affinità finiscono qui, anzitutto perché Gadda è più mosso da interessi metalinguistici che linguistico-antropologici come Niemi, e non ha alcuna attenzione all’aspetto poliziesco della sua storia (che infatti resta sospesa), mentre Niemi il suo giallo prova comunque a portarlo a compimento. Ma la struttura si tiene male in piedi. Gira tutto in questo romanzo, le singole scene sono spesso magnifiche, e lo stile è eccelso; è il sistema complessivo della trama che si segue con difficoltà, come se l’Autore avesse difficoltà a gestirlo nel suo insieme, e si perdesse un po’ lungo la via. L’abilità per rendere leggibile il libro fino alla fine, suscitando interesse in più di un punto, Niemi ce l’ha; ma ce l’ha anche per fare romanzi sicuramente molto migliori di questo.

“Finlandesi!” esclama. “Con questo trattato di pace alla Corona svedese viene sottratto un terzo del suo territorio, e la Svezia perde per sempre la fiera nazione finlandese, il suo sostegno più forte. E non basta: all’esercito svedese verrà a mancare il nucleo e la parte più significativa della propria potenza bellica. La madrepatria è distrutta, sprofondata nel dolore e nello sconforto per gli insostituibili sacrifici sopportati” […]
Sì, ai soldati finlandesi furono indirizzate molte parole affettuose. Della lingua finlandese, invece, non si disse nulla. Neanche dei tornedaliani lassù al nord, che erano stati tagliati a metà in due popoli. Sarebbe accaduto dopo, molto dopo. Doveva passare un lungo arco di tempo prima che cominciassero a rappresentare un problema.
(pagg. 203-4)

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