venerdì 17 maggio 2013

Jack


Jack (1996)
Titolo originale: Jack
Regia: Francis Ford Coppola
Con: Robin Williams
Voto: 7,5


Sosteniamo l’Associazione AIBWS ONLUS
Jack, eponimo protagonista di questo film, è affetto da una patologia che, anche se in larga parte è frutto della fantasia degli autori, può essere considerata una forma romanzata di progeria; la Sindrome di Beckwith-Wiedemann è invece una sindrome di iperaccrescimento che, pur avendo poco a che vedere con quanto rappresentato nel film, comportando sintomi assai diversi, può avere tuttavia esiti altrettanto gravi. Chi ne è affetto ha bisogno del sostegno di tutti. Per questo mi permetto di segnalarvi l’AIBWS Onlus (Associazione Italiana Sindrome di Beckwith-Wiedemann): sostenete se potete!


Jack nasce dalla pancia della madre dopo due soli mesi di gestazione. È prematuro, incredibilmente prematuro, eppure è sano e perfettamente sviluppato come se fosse nato normalmente al nono mese. Esterrefatti, i medici spiegano che le sue cellule sono “programmate” per crescere ad un ritmo che è quattro volte più veloce del normale. In altre parole, Jack invecchia quattro volte più velocemente di tutti gli altri.

A dieci anni, Jack è sì un bambino di dieci anni ma dentro un corpo che ne dimostra quaranta. L’essenza del film sta tutta qui. Non è un film perfetto, e a quel che so è stato debitamente maltrattato dalla critica: nonostante una produzione non improvvisata ed un regista di qualità come Francis Ford Coppola, Jack ha qualche problema nel “carburare”, qualche inghippo sull’asse sceneggiatura-montaggio che porta ad alcune cadute di ritmo un po’ troppo pronunciate. Dal punto di vista strettamente filmico, a salvare la baracca – a parte una Jennifer Lopez stranamente sobria e posata (non impeccabile, ma s’è visto di peggio) – ci pensa il solito monumentale Robin Williams, uno dei pochi che potesse reggere il peso di una parte complessa come quella di Jack, e di uno script qua e là claudicante, non solo senza problemi, ma addirittura facendo un figurone. In un ruolo che ha qualcosa del Peter Pan incarnato pochi anni prima in Hook, ma molto più difficile, Williams riesce con facilità e naturalezza incredibili a recitare come un bimbo di dieci anni, con la giusta dose di entusiasmo senza però mai andare oltre le righe, in modo divertente ma mai smaccato e con la giusta compostezza nei momenti dramatici, riassumendo magistralmente il soffuso entusiasmo “infantile” e la tragicità quasi goethiana che segnano questa sorta di Dorian Gray rovesciato.

Il merito di Williams, nel profondo, sta proprio nell’aver colto – e interpretato al meglio – i nodi tematici portanti del film che di questa pellicola, almeno a livello contenutistico, ne sono il vero punto di forza. Perché è chiaro che una vicenda di Jack scomoda problemi non di poco conto, che il film tratta in modo sì convenzionale ma con il giusto tatto.

In primo luogo, la discrasia pirandelliana tra forma e sostanza, che come abbiamo visto spesso in questo blog fa spesso capolino nelle opere contemporanee, in Jack è elevata all’ennesima potenza. L’abito non fa il monaco, si direbbe, ma qua siamo ancora oltre: Jack cos’è, è il bimbo di dieci anni che vive dentro quel suo “involucro” adulto, o il signore quarantenne che tutti vedono guardandolo da fuori? Anche solo avere una fidanzata per lui è un bel problema: non lo vogliono le coetanee di dieci anni, perché vedono in lui un signore più vecchio del loro padre; non lo vogliono le quarantenni perché sanno che lui è più piccolo dei loro figli.

Se Jack invecchia quattro volte più velocemente degli altri, allora – capisce – morirà quattro volte prima degli altri. È straziante la scena in cui una compagna di classe legge un tema in cui racconta di volersi sposare a 28 anni mentre Jack sul proprio quaderno scrive “28x4=112” e si guarda intorno come a chiedersi il modo di uscire da una situazione così kafkiana. A che serve vivere, se si sa che si dovrà morire presto?

La soluzione ad entrambi i problemi, proposta da Jack e sicuramente condivisibile, è che vivere, a prescindere da quanto si vive, è la cosa più bella che ci potesse capitare, ed il modo migliore per farlo e vivere a pieno essendo sempre noi stessi, consumandoci di vita vissuta e senza rinunciare mai ad inseguire il meglio. Nascendo ci è concessa, comunque, un’incredibile occasione: tanto vale sfruttarla a fondo. Jack riuscirà così a convivere con quel suo corpo impazzito, farsi amare dagli altri nonostante la stranezza di quel suo aspetto adulto, vivere tutto il tempo che gli è concesso vivere senza rimpianti, sapendo di aver fatto ciò che poteva, e nella consapevolezza che chi fa quel che può fa quel che deve.

Conta quanto si vive, è chiaro, perché purtroppo la certezza che si possa tornare un’altra volta a questa vita non ce l’ha nessuno, ed allora è chiaro che più ognuno di noi riesce ad allungare il proprio giro di giostra sul pianeta Terra meglio è. Ma conta anche come si vive. C’è chi muore a cent’anni ma è come se non avesse mai vissuto. C’è chi muore a vent’anni ed è come se ne avesse vissuti cento.

Robin Williams in una scena del film

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