George Orwell, 1984, Mondadori, Milano, 2006, pagg. 322
Titolo
originale: Nineteen Eighty-Four
Anno di prima pubblicazione: 1949
Traduzione di Stefano Manferlotti
Voto: 10
Per parlare
di 1984 non basta una recensione, ci
vogliono studi e saggi critici. Parlarne in poche righe come in queste serve
solo ad omaggiare un grandissimo capolavoro della letteratura di tutti i tempi,
oltre che consigliarlo ai pochi che ancora non lo avessero letto.
Winston
Smith vive nel futuro, un futuro non molto lontano (il romanzo, scritto nel
1948, è ambientato come da titolo nel 1984, quindi 36 anni dopo la sua stesura,
anche se sembra che Orwell abbia scelto la data semplicemente invertendo i
numeri di ’48) in cui il mondo è diviso in tre macrostati in perenne guerra tra
loro, a capo dell’Oceania (dove vive Winston) c’è un partito unico (il
Socialismo Inglese, detto Socing) guidato da un leader massimo, il Grande
Fratello, cui non si oppone nessuno se non un misterioso gruppo clandestino,
guidato da un tale Emmanuel Goldstein la cui esistenza è sospesa tra realtà e
leggenda. L’adesione di Winston a questo movimento di opposizione è la
scintilla che dà vita alla trama, su cui è bene non dire altro per non rovinare
la sorpresa a chi deve ancora leggere il libro. E la sorpresa sarà piacevole,
perché 1984 è prima di tutto un
romanzo avvincente, serrato, ben dosato, scritto in modo impeccabile e che in
questa edizione si giova pure – mi sembra giusto segnalarlo – di una traduzione
davvero ottima.
Come si sa,
però, 1984 è molto di più. Con una
fantasia al contempo visionaria e lucidissima, Orwell – ed è forse questo il
pregio maggiore del romanzo – costruisce con puntigliosa esattezza il mondo in
cui la vicenda è ambientata, la cui struttura politica è descritta con
rilevanti passi teorici che spiegano i principi ordinatori di quell’universo ma
che, ovviamente, descrivono di fatto i fondamenti di tutte le dittature, e
anche in generale di tutti i meccanismi di potere. Solo un grande scrittore
poteva inserire pagine di dottrina politica tanto lunghe (in questa edizione, si
va più o meno da pag. 193 a 223) senza annoiare né distrarre il lettore: Orwell
ci riesce non solo perché ha grande abilità scrittoria, ma anche perché i passi
in questione non sono un esercizio retorico, ma una dimostrazione teoretica di
meccanismi potenziali la cui dimostrazione concreta si sviluppa proprio
attraverso la narrazione della storia di Winston Smith – storia di fantasia ma
costruita quindi tutt’altro che a caso. Più che fantasia (o addirittura
fantascienza), si può parlare di distopia – termine orribile che definisce una
“brutta utopia” – incardinata sullo studio attento da parte dell’Autore dei
meccanismi dittatoriali che ci sono nel mondo reale (la principale ispirazione
sembra sia stata lo stalinismo).
I romanzi,
seppur di fantasia, lanciano messaggi assai validi nel mondo reale: il caso di 1984 è in tal senso esemplare,
considerata la spaventosa lucidità con cui Orwell analizza i meccanismi del
potere, tale da rendere perenne e universale il monito lanciato dal suo testo.
Le idee di una solida divisione in caste, di una guerra continua che sprechi il
benessere prodotto dall’avanzamento tecnologico (altrimenti beneficiabile dai
paria che finirebbero con il migliorare status e desiderare la ribellione), di
un neolinguaggio debitamente scarnificato per evitare che possa essere usato
per costruirci sopra un pensiero (la neolingua è una grandissima intuizione
orwelliana), e della televisione (che in questo romanzo è un mezzo che riceve,
ma anche trasmette ciò che vede nelle case, e deve essere sempre accesa) usata per il controllo delle masse, in definitiva,
sono tutte intuizioni che catapultano il romanzo nelle storia della
letteratura, e ne fanno un lungimirante insegnamento per l’umanità.
1984 è un romanzo che definirei
indispensabile: del resto, nonostante non sia certo una lettura leggera, è
tutt’altro che un mattone, ed è anzi coinvolgente e appassionante, oltre che
per così dire istruttiva. Assolutamente imperdibile.
Lui era già
morto, gli venne fatto di pensare. Ebbe l’impressione di aver mosso il passo
decisivo solo ora, ora che aveva cominciato a dare forma scritta ai suoi
pensieri. Le conseguenze di ogni azione sono racchiuse nell’azione stessa.
Scrisse:
Lo psicoreato non comporta la morte, esso è la morte.
(pag. 31)
Well said and thought after. Stefano Manferlotti
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