José
Saramago, Cecità, Feltrinelli, Milano, 2010, pagg. 276
Titolo originale: Ensaio
sobre a cegueira
Anno di prima pubblicazione: 1995
Traduzione di Rita Desti
Voto: 9,5
Un’epidemia
di cecità coinvolge un’intera nazione, o forse il mondo, tranne che una
persona, la moglie di un oculista che, insieme ad altre sei persone, tra cui il
marito, costituisce il gruppo di protagonisti attraverso cui viene raccontata
la vicenda (la focalizzazione è interna ma il narratore è esterno). Messa di
fronte ad un simile cataclisma, come può comportarsi l’umanità, considerando
anche che l’evento ha chiaramente spazzato via ogni forma di istituzione
organizzata? Molto male. Saramago ci racconta di un’umanità animalizzata,
uomini bestiali in cerca di cibo e pronti a sopraffarsi l’un l’altro, non solo
al fine di sopravvivere, ma anche per sfruttare con violenza gli altri godendo
dell’assenza di poteri terzi di controllo. Siamo in presenza di un’umanità che,
a contatto con l’apocalissi, si brutalizza, proprio come in La strada di McCarthy: anche nel testo
di Saramago nessun personaggio ha un nome, e le parole dei personaggi fluiscono
sul testo senza la “mediazione” delle virgolette, in una sorta di discorso
diretto libero che testimonia anche graficamente l’anarchia disordinata in cui
è caduto il mondo. E proprio come in McCarthy, anche qua, di fronte all’abbrutimento
dei propri simili, esiste una nicchia di resistenza di persone che non
abbandonano la propria umanità, e da questa cercano di ripartire per
conservare, per sé e per la propria specie, una goccia di speranza.
La
dimensione allegorica del romanzo di Saramago è sicuramente molto forte: la
cecità non affligge solo quelli che – senza alcuna colpa – non vedono più dagli
occhi; la cecità colpisce – con loro colpa – anche e soprattutto quelli che non
riescono a vedere dall’anima, che lasciano che la loro natura bestiale abbia la
meglio su quella umana. Ecco tutto il pessimismo della denuncia di Saramago,
che rispetto a McCarthy (concentrato soprattutto sul rapporto padre-figlio)
dipinge un affresco a respiro più ampio, più attento ai rapporti sociali e alla
politica (le istituzioni militari sono in questo libro le più maltrattate dall’Autore!).
Allegoria sì, ma anche concretezza di una trama molto forte e dura, serrata e
avvincente. In entrambe le parti della vicenda (il “primo tempo” è ambientato
in un ospedale-prigione in cui sono rinchiusi i ciechi, il secondo si svolge al
di fuori di esso, in città) Saramago dà fondo alla propria fantasia e alle
proprie qualità di grandissimo narratore, costruendo una vicenda che non lascia
scampo al lettore. Cecità è un
romanzo crudo che di certo non rallegra, che anzi in taluni tratti fa proprio
star male chi legge: non per questo si può dire che non sia un grande libro.
La moglie si
era già coricata, lui ricordava vagamente che gli si era avvicinata un momento
e gli aveva dato un bacio sui capelli, Me ne vado a dormire, doveva aver detto
adesso la casa era silenziosa, sul tavolo i libri sparpagliati, Che cosa sarà,
pensò, e all’improvviso ebbe paura, come se anche lui fosse sul punto di
diventare cieco un attimo dopo e già lo sapesse. Trattenne il respiro e
aspettò. Non successe niente. Successe un minuto dopo, mentre radunava i libri
per riporli nella scaffalatura. Prima capì di non vedere più le mani, poi seppe
di essere cieco
(pag. 29)
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