Cesare Cremonini, La teoria dei colori (2012)
Tracklist:
1. Il comico (sai che risate) – 2. Una come te – 3. Stupido a chi? – 4. L’uomo
che viaggiava fra le nuvole – 5. Non ti amo più – 6. Amor mio – 7. I love you –
8. Ecco l’amore che cos’è – 9. Tante belle cose – 10. La nuova stella di
Broadway – 11. Il sole
Voto:
8,5
Nel
2000, se ben ricordo, una mia cara amica di allora andò ad un concerto dei
Lùnapop e se ne tornò (entusiasta) a casa con una “sindone” di Cesare Cremonini.
Già: all’epoca Cremonini aveva i capelli colorati di rosso, durante i concerti
il sudore faceva calare tinta sciolta sulla faccia, e negli asciugamani in
passava la faccia restava impresso il suo profilo, appunto come in una
stravagante sindone che veniva ovviamente lanciata alle fan adoranti. Perché
era questa l’immagine che Cremonini e la sua gang avevano deciso (o ne erano
stati convinti dagli alchimisti del merchandising) di dare di sé: un’immagine,
se mi passate il termine, profondamente “cazzona”. Col senno di poi, fu una
scelta poco azzeccata. In primo luogo perché già quel primo album Lùnapop, …Squèrez, così scavezzacollo e
sbarazzino, era a suo modo un ottimo lavoro, con un buon songwriting ed una
produzione decisamente felice. In secondo luogo, perché così facendo a Cesare
Cremonini è stata necessaria una decina di anni per far capire al grande
pubblico di essere un cantante – e un autore – serio e che l’aria guascona dei
primi tempi nascondeva preparazione, professionalità e talento.
Certo,
Cremonini non ha lo spessore di un “padre della canzone”, non sarà mai un De
André o un Battiato – né ne ha le velleità. In tal senso, ha avuto comunque la
saggezza di non forzare mai la mano, di non affrettare mai il passo
sull’accidentato percorso che da prodotto per ragazzine l’ha portato ad essere
un cantautore riconosciuto e affermato, di non fare mai il passo più lungo
della gamba. Cadere nella tentazione di andare oltre le proprie capacità,
magari proprio per riscattare la frivola immagine che dava di sé quando era
“quello dei Lùnapop”, poteva essere molto facile, ma Cremonini ha avuto
l’intelligenza di non farlo, e di lasciare tempo al tempo affinché la propria
crescita avvenisse con naturalezza, senza alterare la freschezza e la
spontaneità che ai tempi degli esordi è stata una delle sue armi segrete. In
tal senso, non esiste nella discografia di Cremonini un album della svolta,
perché tutti i suoi lavori sono sempre stati coerenti con quelli precedenti ma
di volta in volta sempre un po’ più maturi e ricchi, con qualche errore di
percorso, come è normale, ma senza fallire mai l’appuntamento con il singolo di
impatto (tanto che il suo repertorio conta ormai, anche senza considerare le
“smash hit” del periodo Lùnapop, numerosi pezzi amatissimi dal grande pubblico,
da Vieni a vedere perché a Le tue parole fanno male, da Dev’essere così a Figlio di un re).
E
con questo nuovo La teoria dei colori
la tendenza di crescita costante e coerente dell’artista bolognese direi che si
conferma in pieno, in un album che credo possa essere ritenuto il migliore
della sua carriera non, come appunto già detto, per chissà quale rivoluzione,
ma perché racconta il percorso di un artista che ha saputo evolversi senza
snaturarsi. La dimostrazione di quanto appena detto è data dal “singolone” di
lancio, Il comico (sai che risate)
che già da un po’ sta intasando le radio. Non è un pezzo innovativo nel
repertorio di Cremonini, anzi pare essere una ripresa riveduta e corretta (dal
punto di vista tematico) di uno suoi brani migliori, Il pagliaccio. In entrambe le canzoni vediamo personaggi il cui
lavoro è far ridere – e comunque esibirsi per intrattenere la gente – e che a
fine lavoro si rendono conto di non sapere fare altro (“Mi hanno chiesto che sai fare, so far ridere la gente”, dice il
comico, “La sera quando mi tolgo il
trucco mi accorgo che sono un pagliaccio anche sotto, diceva il pagliaccio”).
Da un lato ecco la continuità col passato, da un lato ecco anche l’evoluzione,
perché Il comico, in particolar modo
per un ritornello irresistibile, gira ancora meglio di Il pagliaccio.
Con
Il comico (ma anche con Il sole, che sembra uscire da un poema
di Coleridge) vediamo all’opera pure un’interessante vena “narrativa” di un
(non inedito ma quasi) Cremonini cantastorie. In tal senso, il pezzo più
riuscito – che forse è anche il brano migliore dell’album, se non dell’intera
carriera dell’ex Lùnapop – mi sembra La
nuova stella di Broadway. Questo mi sembra un brano importante e
significativo, testimonianza anche dello stato di grazia creativo di Cremonini,
perché non credo sia possibile scrivere un siffatto brano senza fare leva su un
grandissimo talento (in una bella canzone può inciampare anche un autore
modesto, in una canzone così matura credo di no). La storia d’amore che nasce
dall’incontro di un modesto uomo d’affari ed una ballerina di New York – storia
che lo stesso Cremonini ha rivelato essergli stata ispirata dalla visione del
film Chicago – è raccontata con
sognante elusività, in una ballad che evoca forti emozioni, rendendo partecipe
l’ascoltatore non della storia in sé quanto dei suoi sentimenti, con un testo
che fa rabbrividire e con un arrangiamento in crescendo che trascina. Questa è
una “scommessa d’amore” decisamente
vinta…
Una come te (un altro probabile
singolo), Stupido a chi? ed Ecco l’amore che cos’è sono tre
accattivanti brani piuttosto riusciti, si fa notare anche la più compassata e
struggente Tante belle cose. Il
resto dell’album è più standard, con canzoni (la migliore delle quali è forse I love you) che si lasciano ascoltare
ma che non impressionano, ed un’insistenza anche semantica sul tema amoroso
forse un po’ eccessiva (le quattro canzoni centrali hanno l’amore citato, in
varie declinazioni, già nel titolo). Del resto, La teoria dei colori non è un album perfetto: è un lavoro
variopinto (come potrebbe essere altrimenti?), interessante ed a tratti
coinvolgenti, ma con qualche episodio più fiacco, anche se nessuno dei brani
qua presenti è così brutto da costringere l’ascoltatore a saltare alla traccia
successiva. Cremonini può quindi migliorare ancora. E visto che, come detto, ha
dimostrato di saperlo fare, credo che questo disco possa essere non solo
occasione per ascoltare un’ora di buona musica, ma anche speranza per il futuro
di ascoltare dal ragazzo che aveva i capelli tinti di rosso musica ancora
migliore.
Agli attenti fan di Cesare Cremonini non è sfuggita la mia recensione di "La teoria dei colori", l'hanno linkata sul loro forum e ne hanno pure brevemente discusso (facendo quasi delle piccole meta-recensioni, se così si può dire): mi rimproverano qualcosina (e ci può stare, come qualche canzone da loro giudicata molto bella e che io non ho nemmeno citato) ma per il resto sono estremamente benevoli, per cui non posso che ringraziarli!
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